Il «Macbeth» delle streghe esalta la musica
Pioggia, freddo, umido, pesanti muri amaranto, blu notte, verde marcio, neri. E con le streghe, ecco apparire un corteo di maschere grottesche, che ancor più si notano poiché la recitazione dei personaggi principali è imprigionata ai limiti dell’introverso. Le coordinate visive del nuovo allestimento della prima versione di Macbeth (Firenze, 1847), curato da Daniele Abbado per la serata inaugurale del Festival Verdi di Parma, sono ineccepibili. E così rigorose che non occorrono altre trovate. Lo spettacolo è statico ma tale staticità ha un perché. Del resto, che questo sia il dramma di una violenta interiorità psichica che si sublima nel sangue, di fantasmi, di streghe appunto, non lo si scopre oggi: va anche detto però che la versione definitiva del ’65 ribadisce ciò con più compiutezza, mentre quella primitiva lascia, volendo, margini più «aperti».
A quell’interiorità dà una voce orchestrale possente la direzione di Philippe Auguin, che è certamente convincente ma lo sarebbe di più se riuscisse a ottenere maggiore disciplina dalla Filarmonica Toscanini e dal Coro del Teatro Regio. In tale contesto visivo e sonoro, in ogni caso, il canto ha il rilievo che merita. E il cast non tradisce le consegne. Bene Michele Pertusi (Banco), Antonio Poli (Macduff) e Matteo Mezzaro (Malcolm). Quanto all’infernale coppia di protagonisti, Luca Salsi (nella foto) si conferma interprete eccellente dal mezzoforte in su, carente dal mezzopiano in giù, mentre Anna Pirozzi è una Lady dalle troppe asprezze e dagli acuti esageratamente metallici. Applausi. Qualche dissenso solo per Abbado.