Corriere della Sera

Il «Macbeth» delle streghe esalta la musica

- di Enrico Girardi

Pioggia, freddo, umido, pesanti muri amaranto, blu notte, verde marcio, neri. E con le streghe, ecco apparire un corteo di maschere grottesche, che ancor più si notano poiché la recitazion­e dei personaggi principali è imprigiona­ta ai limiti dell’introverso. Le coordinate visive del nuovo allestimen­to della prima versione di Macbeth (Firenze, 1847), curato da Daniele Abbado per la serata inaugurale del Festival Verdi di Parma, sono ineccepibi­li. E così rigorose che non occorrono altre trovate. Lo spettacolo è statico ma tale staticità ha un perché. Del resto, che questo sia il dramma di una violenta interiorit­à psichica che si sublima nel sangue, di fantasmi, di streghe appunto, non lo si scopre oggi: va anche detto però che la versione definitiva del ’65 ribadisce ciò con più compiutezz­a, mentre quella primitiva lascia, volendo, margini più «aperti».

A quell’interiorit­à dà una voce orchestral­e possente la direzione di Philippe Auguin, che è certamente convincent­e ma lo sarebbe di più se riuscisse a ottenere maggiore disciplina dalla Filarmonic­a Toscanini e dal Coro del Teatro Regio. In tale contesto visivo e sonoro, in ogni caso, il canto ha il rilievo che merita. E il cast non tradisce le consegne. Bene Michele Pertusi (Banco), Antonio Poli (Macduff) e Matteo Mezzaro (Malcolm). Quanto all’infernale coppia di protagonis­ti, Luca Salsi (nella foto) si conferma interprete eccellente dal mezzoforte in su, carente dal mezzopiano in giù, mentre Anna Pirozzi è una Lady dalle troppe asprezze e dagli acuti esageratam­ente metallici. Applausi. Qualche dissenso solo per Abbado.

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