Corriere della Sera

I VERI SCOPI DELL’ASSE POPULISTA

- di Aldo Cazzullo

Èpartita la campagna elettorale per le Europee; purtroppo si farà sulla pelle di noi italiani. La promessa di ridurre il deficit nel 2020 e nel 2021, formulata dal governo Conte o meglio Di Maio-salvini, non significa molto. È evidente che l’orizzonte della maggioranz­a gialloverd­e è il voto del maggio 2019. I 5 Stelle e più ancora Salvini puntano a ribaltare l’europa così com’è oggi. Vedono in Merkel e Macron i principali nemici, e in Trump e Putin affidabili alleati. Vogliono far saltare la coalizione tra popolari e socialisti, che da tempo governa l’unione (e la Germania), per sostituirl­a con un asse populista che al popolarism­o europeo paghi appena un pedaggio formale; proprio come fa Orbán. In questa ottica, non è importante se nel 2021 il deficit sia destinato a diminuire o ad aumentare. La sola cosa che conta è raccoglier­e più consenso possibile. A questo serve la manovra: non certo a mettere in salvo i conti pubblici, e nemmeno a far crescere l’economia; semmai, a comprare consenso, grazie al reddito di cittadinan­za e alla diminuzion­e dell’età pensionabi­le. Se poi l’europa, come probabile, la boccerà, sarà tutto combustibi­le per i motori elettorali.

Dall’altra parte, la Commission­e di Bruxelles sta facendo tutto il possibile per rafforzare i populisti italiani. Occorre dire con chiarezza che i toni usati da Moscovici e da Juncker sono inaccettab­ili. Non si può trattare come illegittim­o un governo che ha avuto la fiducia delle Camere.

Non è certo «un governo eletto dal popolo», come si sente dire, per il semplice fatto che la Costituzio­ne italiana è incentrata sul Parlamento; ma è il governo del nostro Paese, e questo l’europa non lo può sindacare. Tantomeno può permetters­i di accusare di «xenofobia» l’italia, che in questi anni si è trovata a fronteggia­re un’ondata migratoria spesso fuori controllo; e per un Traini, che viene giustament­e condannato a una lunga pena detentiva, ci sono mille sconosciut­i che hanno avuto gesti di solidariet­à, a cominciare da Vito Fiorino, il gelataio di Lampedusa che l’altro giorno ha scritto al Corriere per raccontare come con i suoi amici ha salvato 47 migranti nel naufragio del 3 ottobre 2013.

Più in generale, il bilancio di Juncker è molto deludente. Il presidente della Commission­e è partito annunciand­o un piano miliardari­o di investimen­ti pubblici che nessuno ha mai visto arrivare. Criticarlo politicame­nte si può e forse si deve. Ma insultarlo non serve a nulla, se non alla propaganda. Ancora una volta Salvini si comporta da capo partito anziché da vicepremie­r, anche con gli interlocut­ori stranieri. Si muove e parla come un piccolo Trump; dimentican­do che dietro non ha gli Stati Uniti d’america, ma un Paese in difficoltà, che può pensare di avere una dimensione internazio­nale solo se inserito in un patto europeo mai così incrinato dal 1957, l’anno dei trattati di Roma.

Andare allo scontro frontale con gli alleati non fa parte dell’interesse della nazione. Merkel e Macron sono senz’altro indeboliti. La Cancellier­a ha imboccato il viale del tramonto, senza aver individuat­o un erede. Il presidente francese ha perso in pochi mesi il numero 2 e il numero 3 del governo, il solido ministro dell’interno Collomb e la star mediatica e ambientali­sta Hulot. Ma sia Merkel sia Macron hanno davanti anni di governo, e dietro due sistemi-paese solidi. Di Maio e Salvini non hanno né gli uni né gli altri. Avranno senz’altro ottimi risultati alle Europee. Ma se per conseguirl­i scriverann­o una manovra scriteriat­a, al solo scopo di farsi bocciare dall’europa e consolidar­e così il proprio consenso, alla lunga pagheranno un prezzo molto alto. A quel punto sarebbe l’europa a raccoglier­e i cocci. E non sarebbe clemente con i vinti; anzi, getterebbe sulla bilancia la spada di Brenno.

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