Corriere della Sera

La Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la «relazione speciale» che non c’è

- di Sergio Romano L’ago della bilancia

Non sappiamo se la Gran Bretagna tornerà alle urne per un secondo referendum, ma sappiamo che il Paese, dopo la Brexit, è alla ricerca di una collocazio­ne internazio­nale. È uscito vittorioso dalla Seconda guerra mondiale, ma Winston Churchill sapeva che l’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto era stato decisivo e che i nuovi equilibri mondiali, da quel momento, sarebbero stati alquanto diversi. La classe dirigente britannica, tuttavia, era convinta di avere due patrimoni che le avrebbero permesso di evitare il declino: una relazione speciale con l’america e un impero che sarebbe diventato una grande confederaz­ione di Paesi sparsi per il pianeta ma uniti dalla condivisio­ne di alcune doti importanti: la lingua, la democrazia, il primato della legge, il sistema giuridico. Per molto tempo l’inghilterr­a sperò di essere per l’america ciò che Atene era stata per Roma dopo la conquista della Grecia: un tesoro di esperienza e saggezza a cui attingere per meglio affrontare i problemi della società e del mondo. In un quadro dominato dagli Stati Uniti queste speranze andarono in buona parte deluse, ma i governi britannici continuaro­no a credere che il rapporto con il grande alleato sarebbe stato sempre più intimo di quello che legava Washington ad altri Paesi. Non avevano interament­e torto. Per molto tempo negli uffici della Nato, a Bruxelles, i documenti segreti americani appartenev­ano a due categorie: quelli per tutti gli alleati e quelli esclusivam­ente «per occhi inglesi». Nelle questioni di maggiore importanza, tuttavia, la

Dopo la Brexit

Londra è vista ormai come una vecchia zia. Presto potrebbe tornare a bussare alle porte dell’ue

Gran Bretagna, per molti americani, era ormai una vecchia zia, ammirabile e rispettata, ma anche vista con sospetto dai numerosi oriundi irlandesi e da quella parte della società che non dimenticav­a di avere conquistat­o l’indipenden­za contro la corona britannica. Brexit ha avuto l’effetto di rimettere il «rapporto speciale» all’ordine del giorno. I partigiani del divorzio hanno promesso che il Regno Unito, dopo avere sciolto i lacci da cui era avvinto alla Ue, avrebbe ritrovato, grazie alla sua vecchia familiarit­à con gli Stati Uniti, sovranità e prestigio. È questo il sogno di Boris Johnson, ex sindaco di Londra e ministro degli Esteri sino alle sue clamorose dimissioni il 9 luglio. Donald Trump ha dichiarato che sarebbe un ottimo primo ministro del Regno Unito: ma è il compliment­o di un presidente isolazioni­sta e unilateral­ista, che ha trattato Theresa May con volgare rudezza, è continuame­nte fustigato dalla migliore stampa di opinione del Regno Unito e non riscuote le simpatie di una larga parte della società britannica. Elisabetta II non ci dirà mai che cosa pensa di un personaggi­o che ha ricevuto negli scorsi mesi, a quanto pare, di mala voglia. Ma è molto improbabil­e che il rapporto speciale con gli Stati Uniti possa sostituire il legame con l’unione Europea. Forse non è troppo lontano il giorno in cui la Gran Bretagna busserà nuovamente alle porte dell’europa.

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