Corriere della Sera

Sgabelli, credenze, tappeti È l’intimità di un futurista

Dietro gli arredi, la forza di una famiglia unita (e femmina)

- Di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

La sala da pranzo verde con motivi vivaci giallo e arancio chiama a raccolta una famiglia invisibile e rumorosa. Sì, certo, con tanti bambini: echi di nomi antichi, come Lisetta o Maria. Intorno, luci calde, da domenica pomeriggio di un inverno al mare. Un tappeto vivace, calpestato dai primi passi di un nipotino. Un bozzetto: sarà una culla o un divano per stare stretti stretti?

Giacomo Balla. Ricostruzi­one futurista dell’universo è una piccola ma preziosa mostra che parla il linguaggio gioioso delle famiglie mai sazie di sé. O dell’arte che esplora senza paura. In fondo, due aspetti concomitan­ti in Giacomo Balla, come sottolinea­no Stefano Bosi e Valerio Rossi, responsabi­li di Galleria Botteganti­ca, dove questa mostra abbraccia due sedi. È in fondo il Balla meno frequentat­o, forse quello meno compreso, perché la dimensione domestica della sua ricerca corre il rischio dell’aneddoto o dell’assimilazi­one a un futurismo anarchico.

Le cose sono molto più semplici. «La verità è che Balla questi mobili, questi tappeti, questi oggetti li ha fatti per la sua famiglia, per la casa di Roma», spiega Fabio Benzi, curatore della mostra e studioso attento e sensibile dell’artista originario di Torino ma romano d’adozione. Allora la sala da pranzo prende un altro aspetto, la modernità dei Il privato è verde

In basso, la Sala da pranzo di Giacomo Balla, detta anche «Sala verde», 1918 circa (foto: Claudio Furlan per Lapresse) motivi geometrici e il rigore del disegno dissolvono e si trasforman­o in una fotografia in bianco e nero che possiamo solo immaginare: Roma, anni Venti, la moglie Elisa nel lato più ampio della tavola, intenta a mangiare un risotto (la pastasciut­ta passatista no, non ce la vediamo); ai due estremi, le figlie Elica e Luce che conversano piano, complici. Fuori campo, lui, Giacomo, che fotografa. Racconta.

Perché, in fondo, il Balla «domestico» è stato un lungo racconto di un’intimità raccolta. Sì, tutto sommato borghese. Come lo era il quartiere dove aveva sede Casa Balla, a Prati. Lui la volle riempire di fiori artificial­i, di attaccapan­ni fatti a mano, di sgabelli colorati (in mostra). Benzi dice che quella famiglia, negli anni, divenne una specie di «officina», dove Balla lavorava per tutti e le sue donne si dedicarono completame­nte a lui. Sì, in tanti ricordano le figlie, Elica e Luce, due vite femminili totalmente votate al culto del padre: non si sposarono mai e per tutta la vita custodiron­o quel luogo che profumava di legno, colla, vernici strane, solventi.

Sopra la Sala da pranzo, alla parete, il disegno di un’elica, progetto per la rivista «Dinamo». Metafora filiale. Poi il viso di una bambina, un’isola di pittura figurativa, tenerissim­a, che spicca nel mare di vortici, saette, fiori geometrici. È il ritratto della nipote Laura Marcucci quando aveva un anno: fu per amor familiare che nel 1913 Balla interruppe il periodo delle velocità astratte e delle compenetra­zioni radiali, prese il pennello e dipinse il viso della bambina nelle sue fattezze reali.

Si prosegue poi per bozzetti, progetti di camerette (Balla progettò anche la camera della figlia di Marinetti), disegni per ricami, un bellissimo paravento decorato a colori, un ritratto di Luce che ricama e viene da pensare quanto siano stati importanti i legami familiari per i futuristi: Balla visse circondato da donne (madre, moglie e figlie) e da questo gineceo ricavò forza, forse coraggio per le sue sperimenta­zioni.

Oppure si pensa alla madre di Boccioni, ritratta più e più volte dall’artista — per lui un pensiero costante, quasi ossessivo. O si va con la memoria all’amico e sodale di Balla, Fortunato Depero: la moglie Rosetta Amadori fece enormi sacrifici economici per mantenere il marito a Roma, a Milano e a New York. Forse, chissà, il vitalismo futurista aveva segretamen­te bisogno di una codificazi­one borghese, tradiziona­le.

Balla attraversò tante stagioni: dagli inizi semi-divisionis­ti al futurismo fino all’astrazione compiuta scansionan­do il movimento e al ritorno al figurativo. Ma la qualità umana di questa ricerca ci appare oggi come qualcosa di costante e armonioso, come un discorso che fila, che non fa una piega. La risposta forse è in quest’aria di casa. Chi era

● Giacomo Balla (1871 1958), nasce a Torino ma poi va a Parigi e a Roma, dove rimarrà fino alla morte. Tra gli esponenti più originali del futurismo, con Depero redigerà il Manifesto per la Ricostruzi­one futurista dell’universo. Negli anni Trenta tornerà al figurativo. Visse con la moglie Elisa e le due figlie

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Affiatamen­to Giacomo Balla con le figlie Luce ed Elica, e accanto a uno degli oggetti futuristi che l’artista progettò e realizzò per lungo tempo
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