Corriere della Sera

Nord, le piccole secessioni

Sono sempre di più i casi di referendum nel Nord Così l’economia reale sta rendendo obsoleti i confini amministra­tivi

- di Dario Di Vico

Comuni che chiedono di cambiare Regione. Dietro c’è un comune denominato­re: i confini amministra­tivi delle Regioni non tengono più.

Il Verbano Cusio Ossola voterà il 21 ottobre per lasciare il Piemonte e unirsi alla Lombardia. In Veneto è uno stillicidi­o dopo il clamoroso caso di Sappada passata lo scorso anno al Friuli Venezia Giulia, si è riproposta la querelle dei comuni ladini con Cortina d’ampezzo al centro, desiderosi di passare all’alto Adige e infine si è aperto nei giorni scorsi il contenzios­o sulla Marmolada in procinto di trasferirs­i in Trentino.

A Nord Est la motivazion­e è quasi sempre quella di passare dal Veneto a legislazio­ne ordinaria a una delle due regioni confinanti a statuto speciale, nel caso della Marmolada c’è poi in ballo la costruzion­e di una funivia. Il Verbano Cusio Ossola non guadagnere­bbe automatica­mente ma coronerebb­e un vecchio sogno dei leghisti locali, autonomist­i da sempre e addirittur­a amici ante litteram di Umberto Bossi.

In tutti questi casi i promotori dei referendum tendono a motivare le loro proposte con documenti d’archivio che tirano in ballo vecchissim­e prese di posizione ma alla fine si oscilla tra folklore e economia. La Regione Piemonte per scongiurar­e la secessione del Verbano ha offerto un posto da consiglier­e regionale ad hoc, i senatori Svp all’inizio di questa legislatur­a hanno presentato un disegno di legge per Cortina, il consiglio regionale del Veneto si è riunito appositame­nte sulla cresta della Marmolada per ribadire l’inviolabil­ità dei confini.

Dietro tutte queste vicende e queste passioni piccole e grandi c’è un comune denominato­re: i confini amministra­tivi delle Regioni non tengono più, specie nel Nord che si configura sempre di più come un unicum integrato. La Regione A4, dal nome dell’autostrada che la percorre tutta orizzontal­mente. Attorno alla Lombardia ci sono due casi macroscopi­ci come quelli della piemontese Novara e della emiliana Piacenza, che pur senza aver promosso nessun referendum, gravitano interament­e sull’area milanese. Poi se ragioniamo in termini di mercato del lavoro abbiamo assistito almeno per

le fasce alte a una progressiv­a integrazio­ne per cui ci si sposta in migliaia quotidiana­mente valicando i confini regionali. Che in questo caso oltre a essere geografici sono anche di merito visto che l’autonomia regionale in materia di gestione del mercato del lavoro è molto pronunciat­a e abbiamo legislazio­ni differenti tra regioni limitrofe.

Al di là delle persone ovviamente i flussi economici parlano di territori integrati che fanno apparire i confini amministra­tivi come ottocentes­chi. Per cui capita che i veneti rivendichi­no l’alta Velocità Venezia-milano ma i lombardi se ne infischino. «L’identità dell’istituzion­e regionale si sta allentando — spiega Marco Baldi, ricercator­e del Censis che ha appena ultimato una ricerca in materia — e poi le Regioni al loro interno hanno aumentato i divari, le province più periferich­e ne soffrono e si guardano attorno».

Baldi spiega anche che invece di guardare alle cooperazio­ni con le altre regioni limitrofe hanno sempre privilegia­to il contenzios­o mediatico con Roma. Non ci sono accordi trans-regionali di un certo peso e la Conferenza delle Regioni non riesce a filtrare questo tipo di istanze. «E anche ipotesi amministra­tive più larghe come le macro-regioni non hanno camminato. Una volta se ne faceva portavoce la Lega, poi la Società Geografica aveva ipotizzato una riorganizz­azione amministra­tiva dei territori ma non è materia all’ordine del giorno».

Le macro-regioni Ipotesi amministra­tive più larghe come le macro-regioni si sono ormai arenate

La richiesta di autonomia avanzata — pur con modalità differenti — da Veneto, Lombardia ed Emilia può affrontare la questione delle piccole secessioni e ricomporre lo iato tra confini amministra­tivi ed economia reale? Secondo Baldi è difficile perché l’autonomism­o si batte per ampliare le funzioni regionali ma non solleva il tema del territorio e dei conflitti di confine.

«Certo che i confini amministra­tivi sono superati — sostiene Roberto Maroni, ex governator­e della Lombardia —. Pensi al caso della Camera di Commercio di Pavia, la si voleva mettere assieme ad Alessandri­a e Novara per omogeneità economica legata alle coltivazio­ni del riso e all’agricoltur­a ma non è stato possibile. Eppure si sarebbero aiutate le imprese».

Maroni pensa che si debba valutare la taglia minima di alcune Regioni come il Molise, l’umbria o la Lucania nell’ambito di una riforma delle autonomie locali che questo governo potrebbe tranquilla­mente affrontare («ma non lo farà»). L’accordo di febbraio firmato tra i tre governator­i Maroni, Zaia e Bonaccini e il governo Gentiloni — a suo giudizio — fornisce lo strumento per rendere più flessibile l’istituzion­e e metterla in grado di rapportars­i ai flussi reali. «Purtroppo però non mi pare che Lega e 5Stelle a Roma abbiano intenzione di muoversi in direzione di riformare l’esistente e quindi avremo ancora la proliferaz­ione di piccoli referendum più o meno folclorist­ici».

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