Una crescita verde (e sostenibile): Nobel dell’economia a due innovatori
Premiati Nordhaus e Romer, americani. Il primo teorizzò la Carbon Tax
Premiando gli americani William Nordhaus e Paul Romer con il Nobel per l’economia, l’accademia reale svedese delle Scienze ieri ha messo sotto i riflettori alcune delle sfide più urgenti del nostro tempo come il cambiamento climatico, l’innovazione tecnologica e una crescita sostenibile (e sostenuta) nel lungo periodo, ponendo l’accento sulla necessità di combinare sviluppo economico e benessere della popolazione e del pianeta.
I due studiosi, ha spiegato l’accademia, «hanno significativamente allargato l’ambito dell’analisi economica costruendo modelli che spiegano come l’economia di mercato interagisce con la natura e la conoscenza».
Nordhaus, 77 anni, docente alla Yale University fin dal 1967, è stato il primo ad aver introdotto variabili climatiche nei modelli economici, sottolineando l’influenza dell’economia sul clima e del clima sulla crescita economica. Il suo nome è legato alle tasse sulle emissioni di anidride carbonica (carbon tax) di cui è stato uno dei primi sostenitori, perché se imposte universalmente in uno schema globale, sono «il rimedio più efficiente per i problemi creati dai gas serra». Se il Nobel riconosce a Nordhaus il ruolo di aver sviluppato gli strumenti per calcolare i costi del cambiamento climatico, per una curiosa coincidenza, l’annuncio arriva proprio il giorno dopo l’ultimo allarme delle Nazioni Unite sul global warming, per sollecitare un «cambiamento senza precedenza», coordinato e urgente da parte della comunità internazionale per far si che il riscaldamento globale resti sotto un massimo di 1,5 gradi.
Romer, 62 anni, dal 2016 capo economista della Banca mondiale, che ha lasciato polemicamente dopo appena 15 mesi, è stato a lungo docente alla business school di Stanford University prima di approdare a Stern, la business school di New York University. Dopo essere stato spesso tra i potenziali candidati al Nobel, quando ieri ha ricevuto la fatidica telefonata da Stoccolma, l’economista ha raccontato di non aver risposto temendo che fosse pubblicità. Ma il prefisso svedese lo ha spinto a richiamare.
Negli ultimi anni Romer si è dedicato ai problemi di urbanizzazione, cercando di teorizzare il ruolo delle istituzioni della città ideale (ma poi il tentativo di mettere la teoria in pratica in Costa Rica è fallito). Ma al centro dei suoi studi è la crescita endogena e il ruolo della conoscenza e dell’innovazione come motori per favorirla. Da qui il bisogno di politiche ad hoc da parte dei governi. Secondo Romer, il cambiamento tecnologico infatti può essere accelerato attraverso l’uso di interventi statali specifici indirizzati, ad esempio, a promuovere sgravi fiscali sugli investimenti in ricerca e sviluppo. O attraverso la regolamentazione della proprietà intellettuale, in modo tale da garantire da un lato la remunerazione degli investimenti privati, grazie alla protezione dei brevetti, ma dall’altro garantire un livello di apertura e di condivisione che permetta a tutti non solo di beneficiare dell’avanzamento tecnologico, ma anche di favorire nuove scoperte e invenzioni.
Romer, carattere eccentrico (possiede un aereoplano che pilota personalmente) e controverso, è spesso stato al centro di polemiche. Come ad esempio per le aspre critiche contro alcune ricerche di macroeconomia. O per la nota con cui chiedeva ai ricercatori della Banca mondiale di non usare troppe «e» (la congiunzione) nei loro report, perché la percentuale di utilizzo era per lui «insopportabilmente troppo alta».