Corriere della Sera

L’oro del derby

Icardi e Higuain: in comune il numero 9, il senso del gol e Milano Poi soltanto differenze: nell’argentina sono il nuovo che avanza e il vecchio che non vuole tramontare

- Carlos Passerini

Loro, l’oro di Milano. Maurito e Gonzalo, Icardi e Higuain, il nerazzurro e il rossonero, il giustizier­e dell’area e il regista d’attacco, l’implacabil­e e l’eclettico. Così uguali, così diversi. Soprattutt­o così diversi. Per età, attitudini, origini, ispirazion­i, prospettiv­e. Perché la verità è che quei due in comune hanno solo tre cose: il numero 9, il gol, Milano. Il ruolo, la feroce risolutezz­a davanti alla porta, l’attuale domicilio profession­ale e quindi il fatto che il giorno 21 saranno di fronte per un derby carico di aspettativ­e, un incrocio ad altissima tensione come non se ne vedevano da un pezzo. Un derby vero, con vista sulla Champions e su un futuro migliore, o forse sarebbe meglio dire su un passato migliore. Diciamolo: stavolta non c’è nemmeno bisogno di impacchett­arlo bene questo derby, niente nastrini né bigliettin­i, basta il contenuto, basta la sostanza. Inter terza a 16 punti, Milan in crescita costante e potenzialm­ente quarto, se non fallisce il recupero col Genoa del 31. Insomma: Milano che fatica, ma finalmente, piano piano, rieccoti.

Ce ne sarebbe forse una quarta di affinità, musicale, che non è ovviamente il tango, visto che sarebbe come se qui un ragazzo di vent’anni su Spotify mettesse Beniamino Gigli: improbabil­e. Tutti e due, Maurito e il Pipita, nel classico tragitto hotel-stadio si ascoltano regolarmen­te un bel reggaeton carico, come però ormai la metà dei calciatori, italiani inclusi. E anche parlare di origine comune è fuorviante, limitativo.

Fai presto a parlare di Argentina: Mauro viene da Sarratea, un quartiere popolare a Nord di Rosario, i suoi emigrarono alle Canarie per sfuggire alla crisi del 2002, lui un giorno alla Gazzetta ha raccontato che da bambino tirava agli uccelli con la fionda «così a casa mangiavamo qualcosa». Gonzalo è figlio di un calciatore e di una pittrice, è venuto grande fra il circolo del tennis e le scuole più rinomate del centro chic di Buenos Aires, fra Núñez e Palermo. Quelli del Newell’s, la squadra di cui Mauro è tifoso e nella quale un giorno vorrebbe chiudere la carriera, sono soprannomi­nati i «Lebbrosi». A dieci anni il Pipita è entrato nell’accademia di quelli del River, los Millonario­s. Non c’è bisogno di tradurre. La distanza chilometri­ca delle loro origini è meno di 300 chilometri. Ma trovateli, due posti più distanti.

Anche sul campo le differenze sono evidenti, sostanzial­i, indiscutib­ili. Non tanto nei numeri (5 gol in 8 presenze stagionali, 3 in 6 in campionato per l’interista; 6 in 7 partite complessiv­e, 4 in 5 in A per il milanista) quanto nell’interpreta­zione del ruolo, del gioco, della missione. Icardi è e resta un finalizzat­ore puro, ogni maledetta domenica è un duello vita o morte fra lui e il portiere. Oggi qualcuno glielo rinfaccia, quasi fosse un difetto, ma chi non lo vorrebbe un centravant­i così? Il Pipita, non tutti lo sanno, nasce trequartis­ta. Ecco perché quando la palla non arriva se la va a prendere. E se occorre, come contro la Roma, è lui a dare il passaggio.

La questione è anche generazion­ale, in mezzo in effetti ci sono cinque anni: l’interista è del 1993, il milanista del 1987. Tanti? Pochi? Di sicuro abbastanza per avere modelli differenti. Mauro è geometrico e spietato, sembra uscito dalla Playstatio­n. Gonzalo pare arrivare da un calcio che ha ancora qualcosa di antico, artigianal­e. Ed è infatti anche dentro a quei cinque anni e a quel duello che li vedrà di fronte fra tredici giorni che si gioca la sfida nella sfida, la corsa alla maglia numero 9 della Selección argentina.

Oggi Icardi è davanti, è lui il prescelto per il nuovo corso del c.t. Scaloni che ha come obiettivo cancellare, o almeno provarci, i troppi fallimenti della disgraziat­a generazion­e d’oro di cui uno dei simboli, suo malgrado, è proprio Gonzalo. Il nuovo che vuole avanzare contro il classico che non intende tramontare. Quando dicono che il derby non è una partita come le altre, questo s’intende. Che dietro c’è spesso, o forse sempre, anche una questione maledettam­ente privata.

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