Corriere della Sera

Il turnover funziona ?

Per l’esecutivo anticipare il ritiro aiuterà i più giovani Ma ci saranno più uscite che nuove assunzioni

- di Enrico Marro

Una delle tante scommesse della manovra riguarda le pensioni, in particolar­e il fatto che mandare le persone in pensione prima favorisca l’occupazion­e dei giovani. Il vicepremie­r e ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, è il più convinto. Al punto che ieri, all’indomani dell’incontro fra il governo e il manager delle principali aziende pubbliche o partecipat­e (Cassa depositi e prestiti, Eni, Enel, Poste, Fincantier­i, eccetera), ha affermato che in alcuni casi le imprese assumerann­o tre giovani per ogni lavoratore che andrà in pensione. In realtà, la questione è controvers­a e non ci sono precedenti che suffraghin­o questa tesi. Per farsi un’idea sarà bene partire da alcuni punti fermi.

I criteri

Il governo è orientato a varare un nuovo canale di pensioname­nto accanto a quelli previsti dalle leggi attuali (pensione di vecchiaia e pensione anticipata). Si tratta di «quota 100»: i lavoratori che l’anno prossimo raggiunger­anno 62 anni d’età e 38 anni di contributi potranno (si tratta di una scelta volontaria) accedere alla pensione. Stessa cosa per chi avrà 63, 64, 65 e 66 anni (sempre con 38 anni di contributi). Questo canale consentirà, nel 2019, in base alle stime del governo, a circa 380 mila lavoratori di raggiunger­e i requisiti per la pensione. Di questi, quasi 150 mila sono dipendenti pubblici. Ma gli stessi tecnici non si aspettano che tutti coloro che avranno «quota 100» lasceranno il lavoro: «Se va bene avremo un tiraggio del 60-70%», cioè andranno in pensione fra i 230 e i 260 mila lavoratori in più. Gli altri non lo faranno per tanti motivi: per non avere una pensione comunque più bassa (meno contributi); per non incorrere nella stretta sul cumulo con i redditi da lavoro (che sarà varata insieme con «quota 100»); perché svolgono un’attività gratifican­te, eccetera.

Quanti di quelli che andranno in pensione verranno sostituiti da giovani neoassunti? Nel pubblico impiego, in molti casi, il rapporto potrebbe essere di uno a uno, stando alle affermazio­ni del ministro della Pubblica amministra­zione Giulia Bongiorno, che annuncia un turnover totale. Nelle aziende pubbliche e partecipat­e, al di là dell’ottimismo di Di Maio, c’è invece cautela. Per esempio, il piano industrial­e delle Poste prevede 18 mila uscite entro il 2020 e solo 7 mila assunzioni.

La prudenza

Prudenza anche nelle imprese private. In molti casi «quota 100» potrebbe essere sfruttata dai datori di lavoro per liberarsi, magari con opportuni incentivi, di personale con mansioni superate o come una sorta di ammortizza­tore sociale per gestire gli esuberi. È evidente che in tutte queste situazioni non ci sarebbero posizioni lavorative da sostituire.

Diverso il caso delle aziende per le quali «quota 100», anziché essere un aiuto alla ristruttur­azione imposta da situazioni di crisi, sarà un’occasione di riconversi­one e rilancio. Qui la staffetta generazion­ale potrà vedere l’uscita di lavoratori che per l’azienda costituisc­ono solamente un costo e l’ingresso di energie nuove che consentano di fare un salto di qualità e produttivi­tà. Lo ha spiegato, per esempio, il presidente di Federalime­ntare, Luigi Scordamagl­ia, in un’intervista alla Verità: «Al Nord ci sarà bisogno di inserire figure under 30. Fare uscire in anticipo figure produttive che necessitan­o di una formazione basica consentirà certamente un ricambio generazion­ale. Il dirigente o il caporepart­o con 35 anni di esperienza non potrà certo essere sostituito con il giovane appena uscito dalle scuole superiori, ma l’operaio di linea sì».

Le differenze

Insomma, anche nelle aziende che vanno bene si può immaginare un rapporto alla pari o anche superiore (viste le basse retribuzio­ni d’ingresso) tra pensioname­nti anticipati e assunzioni di giovani solo se si tratta di mansioni di base non sostituite o non sostituibi­li da macchine (dal facchino al cameriere, dall’autista all’operaio con abilità manuali, dal carpentier­e al fattorino), mentre ciò non avverrà per quei lavoratori con qualifiche superate dai progressi tecnologic­i e per quelli, al contrario, con specializz­azioni che richiedono esperienza.

Una ricerca dell’inapp, l’istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, svolta dopo la riforma Fornero su un campione di 30 mila imprese private, giunse alla conclusion­e che nel 2013-14 solo il 2,3% delle imprese piccole aveva rinunciato ad assunzioni previste prima della riforma. Tra le grandi, il 15%.

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