Sulle banche la nemesi del M5S
Pressing per una correzione della manovra
Più della Ue, della Bce, dell’fmi, e di qualsiasi altro acronimo internazionale, il grillino Buffagni teme la nemesi.
Certo sarebbe terribile se la dea puntasse la sua spada contro il «governo del popolo», che dopo aver scritto una «finanziaria del popolo» fosse costretto — in prossimità delle Europee — a intervenire per salvare le banche messe a rischio sui mercati dalla legge di Stabilità. Così la campagna elettorale trionfalmente immaginata, con il reddito di cittadinanza e la revisione del sistema pensionistico a riempire le urne di consensi, si trasformerebbe in una drammatica via crucis per i due partiti di maggioranza e soprattutto per il Paese.
Ecco l’incubo che affolla i sogni del sottosegretario a cinquestelle, ecco il motivo delle preoccupazioni confidate a Di Maio in queste settimane di passione, con una manovra che fuori dal perimetro giallo-verde raccoglie solo critiche e moniti minacciosi. Buffagni conosce le obiezioni politiche del suo leader, che a sua volta gli riconosce competenza e lealtà: in pubblico è pronto infatti a esporsi contro chiunque pur di difendere la causa, perciò in privato può permettersi di andare (spesso) contro-corrente. È accaduto anche all’ultima riunione del Movimento, come hanno svelato alcuni deputati grillini il giorno dopo. Pare che il vice ministro all’economia Castelli avesse appena riferito i punti dell’intesa stretta con la Lega sulla pace fiscale, «quando Stefano si è alzato e ha detto: “Questo è un condono e non lo voto”». Quale posizione abbia assunto Di Maio è evidente, visto che il Consiglio dei ministri sul decreto fiscale è stato poi rinviato a lunedì.
Buffagni può non essere d’accordo sulla «nazionalizzazione» di Alitalia, così come immaginata da Di Maio, ma appena ha sentito fare a Tria il contrappunto del suo vice premier sulla compagnia aerea ha riempito di messaggi i colleghi di governo e di partito: «...E si permette pure di criticare, questo miracolato. Lui che da ministro dell’economia non era in Parlamento il giorno in cui si è votato il Def». Proprio il Def è la testimonianza della sua fedeltà alla linea, se è vero che lo fa soffrire quanto la sua Inter. Comprende le ragioni che hanno indotto i due vicepremier a sfidare l’europa, la linea ormai appare chiara: anche se Bruxelles dovesse aprire una procedura d’infrazione, non sarebbe questa Commissione a gestirla, bensì la prossima, figlia del voto di maggio che annuncia un cambio di equilibri tali da consentire al governo di trattare.
Ma l’azzardo politico non tiene conto dei mercati. Un declassamento dell’italia da parte delle agenzie di rating rischierebbe di far entrare in sofferenza alcuni importanti istituti di credito nazionali, oberati nel frattempo da un’ulteriore tassazione stabilita proprio dal governo. Raccontano che Buffagni da una parte e Giorgetti dall’altra ne abbiano discusso rispettivamente con Di Maio e Salvini. L’idea che i due sottosegretari si somiglino è frutto di un effetto ottico distorto, per quanto siano accomunati dal modo di rapportarsi con i rispettivi capi. «Piuttosto che mettermi contro il segretario del mio partito, me ne torno a casa»: lo disse una volta Giorgetti, lo sottoscriverebbe anche Buffagni.
Entrambi hanno un sistema di relazioni con il mondo delle banche, entrambi temono il baco, entrambi lo hanno detto ai leader di Cinquestelle e Lega, entrambi confidano ancora in una correzione della manovra che eviti i rischi. Se è vero che sui «numerini» Di Maio e Salvini non intendono recedere, sarebbe una sconfitta a tavolino, è altrettanto vero che il governo si prenderà un extra-time prima di presentare la manovra: si stanno studiando delle soluzioni alternative per reperire soldi. Come in passato, a via XX settembre sono state fatte finora innumerevoli simulazioni. Rispetto al passato, sono stati calcolati anche i proventi di una tassa sulla cannabis e di una tassa «a luci rosse». Impossibile conoscere il potenziale gettito, e sebbene la legalizzazione del sesso a pagamento facesse parte del programma della Lega è impensabile immaginarla in Finanziaria.
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