Bossetti, ergastolo «In quel Dna la verità su Yara»
Il processo in Cassazione: inammissibile il ricorso della difesa del manovale
Definitiva la condanna all’ergastolo di Massimo Giuseppe Bossetti per la morte della 13enne Yara Gambirasio. La prima sezione penale della Cassazione, dopo quattro ore di camera di consiglio, ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato che chiedeva un nuovo esame del Dna.
I volti scuri, poche parole, se non «le sentenze si rispettano, non possiamo che piegarci alla decisione della Cassazione, anche se siamo convinti che Massimo Bossetti sia innocente». Claudio Salvagni e Paolo Camporini, gli avvocati del carpentiere condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio lasciano il palazzo di Piazza Cavour con il peso di un’altra delusione. Sono le 22.30 quando, dopo quattro ore e mezza di camera di consiglio, la Suprema corte presieduta dal giudice Adriano Iasillo torna in aula con la decisione: il ricorso della difesa contro la sentenza d’appello è «inammissibile».
Massimo Bossetti non c’era, non è previsto in Cassazione. Potrebbe averlo saputo da una delle dirette tv che anche ieri hanno seguito uno dei casi che ha più colpito, il 26 novembre 2010, per l’angoscia della scomparsa della ginnasta di Brembate Sopra e poi, dopo il ritrovamento del suo corpo a tre mesi dall’omicidio, per le migliaia di prelievi del Dna e gli intrecci passati per la ricerca di un figlio illegittimo. Il carpentiere, 48 anni il 28 ottobre, papà di un ragazzo e due bambine, era agitato nei giorni scorsi. La moglie Marita Comi era andata a trovarlo, l’ha visto teso. Come tutti quelli che lo hanno incontrato in carcere. Aveva iniziato a rivedersi in televisione, in settimana. A guardare, nella cella della sezione speciale del penitenziario di Bergamo che condivide con altri due detenuti, le trasmissioni che annunciavano l’udienza in Cassazione.
Ci ha sperato fino all’ultimo. Nella perizia del Dna, soprattutto: «Fatemela fare, sarei un pazzo a chiederla se fossi colpevole», ha sempre detto tramite i suoi avvocati. L’ha ribadito ieri: «È fiducioso nella giustizia ma anche timoroso, chiede che gli venga concessa la perizia» aveva detto Salvagni alla fine dell’udienza, alle 18.
Invece no. Nemmeno la richiesta di un annullamento di sentenza con rinvio in Appello per nuove analisi è stata concessa. Il Dna, la prova ritenuta regina da due sentenze, non poteva che essere al centro anche dell’ultima battaglia giudiziaria. «Indagine perfetta», «match pieno», «imto pronta genetica» ed «evidenza che non si riesce a contrastare», sono le espressioni usate dal procuratore generale Marilena De Masellis per ribadire la validità dei risultati e chiedere la conferma della condanna. Cioè, che è dimostrata la corrispondenza tra il Dna di Ignoto 1 — così ribattezzata la traccia trovata sui leggings e sugli slip di Yara Gambirasio — e quello di Massimo Bossetti. La pg si è commossa, sul finale della requisitoria, quando ha ricorda- la bambina «lasciata morire in un campo» da Bossetti «senza pietà». Il Dna, ha detto, «ha dato voce a Yara».
Le indagini, difese e lodate da De Masellis, sono sempre state messe in discussione dalla difesa. Reagenti scaduti e protocolli internazionali per i test non rispettati — la loro principale obiezione — invalidano il Dna. Da qui la richiesta della perizia, sempre respinta. Anche ora.