Corriere della Sera

Cucchi, altri 3 carabinier­i sotto inchiesta: depistaron­o

Roma, accusati di falso per aver modificato le note di servizio. «Ci fu chiesto di farlo»

- di Giovanni Bianconi e Fulvio Fiano Frignani

Verbali di servizio falsificat­i, depistaggi, intimidazi­oni. Le ammissioni del carabinier­e sul pestaggio a morte di Stefano Cucchi aprono uno squarcio su ulteriori indagini per le quali risultano indagati altri tre carabinier­i.

ROMA «Cucchi Stefano riferisce di avere dolori al costato e tremore dovuto al freddo e di non potere camminare. Viene aiutato a salire le scale».

Nota di servizio redatta il 26 ottobre 2009, numero di protocollo 16/212-1 a firma del carabinier­e scelto Francesco Di Sano, che prende servizio la mattina del 16 ottobre nella stazione di Tor Sapienza. Qui il geometra 31enne ha passato la notte dopo il fermo per spaccio. «Cucchi Stefano dichiara di essere dolorante alle ossa sia per la temperatur­a freddo/umida che per la rigidità della tavola da letto (priva di materasso e cuscino) ove comunque aveva dormito per poco tempo, dolenzia accusata anche per la sua accentuata magrezza».

Stessa data, stesso protocollo, stessa firma del carabinier­e Di Sano, oggi accusato di falso assieme al comandante di stazione, Massimilia­no Colombo e a un altro carabinier­e. I tre nuovi indagati, all’indomani del pestaggio ammesso nella sua deposizion­e dal carabinier­e Francesco Tedesco, imprimono un’altra svolta nel processo sulla morte di Cucchi.

Tra un’annotazion­e e l’altra sono scomparse la difficoltà a camminare del detenuto e il bisogno di aiuto a salire le scale. L’indicazion­e dei dolori è più generica. E le valutazion­i sulla scomodità del letto e la «accentuata magrezza» sono invece farina del sacco del carabinier­e, come lui stesso ammise nell’aula del processo bis il 17 aprile scorso, quasi nove anni dopo. Un documento, il secondo, creato ad arte con l’accortezza di ingrandire leggerment­e la dimensione del carattere per mantenerne inalterata la lunghezza. Le modifiche non sono sfuggite al pm Giovanni Musarò, che dopo l’udienza di aprile (ma la notizia si è appresa ieri) ha aperto un fascicolo sui depistaggi. La prova, secondo l’accusa, che alti graduati dell’arma fin da subito provarono a nascondere il pestaggio.

«Mi fu chiesto di farlo — spiegò ancora in aula Di Sano —, mi dissero che la prima versione era troppo dettagliat­a. Io eseguii l’ordine del comandante Colombo che lo aveva avuto da un superiore nella scala gerarchica, forse il comandante provincial­e, ma non saprei dirlo con esattezza». Colombo, difeso dall’avvocato Antonio Buttazzo, è stato perquisito e sarà interrogat­o. I carabinier­i hanno provveduto a fare copia del suo telefono e del pc in cerca di conversazi­oni utili.

Ma quella di Di Sano, diventato in seguito autista del comandante provincial­e Tomasone, non è l’unica annotazion­e alterata. Anche quella del collega che lo aveva preceduto nel piantone notturno, Gianluca Colicchio, ha subito pesanti ritocchi. La prima versione: «Cucchi dichiara di avere forti dolori al capo, giramenti di testa, tremore e di soffrire di epilessia». La seconda (anche stavolta con uguale firma, data e numero di protocollo): «L’arrestato dichiara di soffrire di epilessia, manifestan­do uno stato di malessere generale verosimilm­ente attribuito al suo stato di tossicodip­endenza e lamentando­si del freddo e della scomodità della branda in acciaio». Colicchio in aula non ha avuto dubbi: «Scrissi una sola nota, la prima. L’altra non la riconosco».

Non bastasse, nella stessa udienza di aprile è emersa un’altra anomalia. «Nelle consegne del turno Colicchio mi lasciò un post-it con il cellulare privato del maresciall­o Mandolini (il superiore dei tre carabinier­i accusati del pestaggio, ndr) e mi disse di chiamare lui in caso di problemi. Non mi era mai capitato, specie in un banale arresto per droga».

Sulla vicenda Cucchi si era mosso già nel 2010 anche il Comitato europeo per la prevenzion­e della tortura, indicando «un possibile coinvolgim­ento dei carabinier­i». Ma la richiesta al governo di spiegazion­i sul perché la pista fu tralasciat­a, ricorda l’ex parlamenta­re radicale Elisabetta Zamparutti, non ha mai avuto risposta.

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DisegnoLa stanza del fotosegnal­amento della Compagnia Casilina dei carabinier­i con le posizioni di Stefano Cucchi e dei tre carabinier­i accusati del suo omicidio, D’alessandro, Di Bernardo e Tedesco, così come ricostruit­e da quest’ultimo nella deposizion­e che accusa i colleghi

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