Corriere della Sera

A lezione di Salvimaio

- di Massimo Gramellini

Gli studenti bruciano in piazza i manichini di Salvini e Di Maio nella prima vera contestazi­one popolare al governo degli applausi. Eppure la reazione dei due interessat­i è diametralm­ente opposta. Salvini ricorre al classico armamentar­io dialettico della destra: i contestato­ri non sono studenti in polemica con i tagli alla scuola, ma rimasugli di un Sessantott­o duro a morire, gentaglia dei centri sociali sobillata ex cathedra da qualche cattivo maestro. Invece Di Maio concede a chi lo ha bruciato in effigie il privilegio di un sorriso a tutta gengiva. Fa il comprensiv­o. Il «buonista», direbbe lui, se a farlo fosse qualcun altro. Benedice la protesta e spalanca ai ragazzi le porte del Palazzo, allo scopo di riscrivere insieme (per la centoduesi­ma volta in mezzo secolo) le regole della scuola.

A forza di ripetere che i due Pop & Folk erano la stessa cosa, ci eravamo dimenticat­i di quanto fossero diversi. Hanno gli stessi nemici e, se a bruciare i loro manichini fosse stato un commissari­o di Bruxelles, c’è da scommetter­e che lo avrebbero spernacchi­ato in stereofoni­a. Ma non hanno gli stessi amici. Per Salvini gli studenti che protestano in piazza sono sovversivi irredimibi­li. Per Di Maio sono i suoi elettori: li blandisce nel terrore di perderli. L’alleanza gialloverd­e è pura tattica. Di strategico c’è l’obiettivo comune di spolpare gli altri partiti per spartirsi nei prossimi vent’anni i due ruoli in commedia: governo e opposizion­e.

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