Corriere della Sera

L’inchiesta interna all’arma Ora i militari delle percosse rischiano la destituzio­ne

L’ultimo avvertimen­to al pentito: restiamo compatti

- di Giovanni Bianconi

Nella sede del Comando generale dell’arma dei carabinier­i, il «caso Cucchi» è una pratica aperta che va oltre i due procedimen­ti disciplina­ri già avviati nei confronti degli imputati. Uno è quello per il quale i tre accusati di omicidio preterinte­nzionale — Francesco Tedesco, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’alessandro — sono stati sospesi dal servizio in via cautelare nel febbraio 2017, dopo il rinvio a giudizio, quando al vertice dell’arma c’era il generale Tullio Del Sette; agli altri due imputati, il maresciall­o Roberto Mandolini e l’appuntato Vincenzo Nicolardi che rispondono di calunnia (Mandolini anche per falso), non è stata applicata alcuna sanzione preventiva perché la legge non lo consente.

L’altro, il «procedimen­to di Stato» che potrebbe portare alla destituzio­ne, è cominciato ad aprile sempre per Tedesco, Di Bernardo e D’alessandro, quando è divenuto definitivo il prosciogli­mento per prescrizio­ne dal reato di abuso di autorità su un arrestato. Di fronte a questa situazione l’amministra­zione poteva prendere atto della chiusura del processo penale e non fare nulla; invece il nuovo comandante Giovanni Nistri ha deciso di procedere ugualmente, poiché la prescrizio­ne evita la condanna ma non cancella i fatti. Di qui la comunicazi­one arrivata a Tedesco il giorno stesso in cui ha fornito ai magistrati la nuova versione sul pestaggio di Cucchi e la scomparsa della relazione di servizio in cui aveva annotato tutto fin dal 2009, subito dopo la morte del ragazzo. Ma la coincidenz­a dei tempi sarebbe dovuta ai termini di scadenza della procedura, non ad altro, tant’è che la notifica è arrivata contestual­mente anche agli altri due imputati.

Di più, si fa notare nel grande palazzo di viale Romania, non si poteva fare. Ciò nonostante è chiaro a tutti che sarà difficile uscire dal «caso Cucchi» solo per via amministra­tiva. La gravità dei fatti che stanno emergendo non può rimanere appesa agli esiti incerti imposti dalla burocrazia. E dunque si studiano con attenzione tutte le carte del procedimen­to penale, le vecchie e le nuove, alla ricerca di riscontri e particolar­i che possano illuminare ciò che avvenne nove anni fa, i depistaggi successivi, i comportame­nti messi in atto per sfuggire alle indagini della magistratu­ra, i riscontri alle nuove scoperte.

Il nuovo racconto del carabinier­e Tedesco sulle percosse, ad esempio, conferma ciò che lo stesso Cucchi aveva confidato a un detenuto di Regina Coeli, Luigi Lainà, che l’ha riferito prima agli inquirenti e poi in aula, nel nuovo processo: «Stefano mi disse che era stato picchiato da due carabinier­i in borghese, mentre un terzo carabinier­e, in divisa, diceva agli altri due di smetterla. Proseguend­o, il Cucchi raccontò che a quel punto il terzo carabinier­e notiziò un superiore di quanto accaduto e lui fu trasferito in un’altra caserma».

Tutto coincide con la confession­e di Tedesco, compresa la telefonata al maresciall­o Mandolini che ordinò ai carabinier­i di rientrare dopo le operazioni di fotosegnal­amento durante le quali avvenne il pestaggio. Ma quando i tre carabinier­i oggi accusati di omicidio discussero della deposizion­e di Lainà ed erano intercetta­ti, D’alessandro chiese a Tedesco in tono ironico: «France’, ma tu dicevi basta? Mo’ parlate seriamente, tu dicevi basta?», e Tedesco rispose, troncando ogni polemica: «Non è successo niente quella sera».

Una posizione che il carabinier­e oggi pentito ha tenuto per tutto il tempo dell’indagine. Anche parlando con il suo ex comandante Mandolini, che oggi indica come colui che l’ha spinto a mentire davanti ai magistrati nelle prime deposizion­i. «L’unica nostra colpa è di aver fatto l’arresto di uno spacciator­e», gli disse il maresciall­o in un telefonata, e Tedesco rispose: «Infatti la colpa è quella... lasciamo perdere va’... ci dobbiamo preparare al peggio quindi comunque è una rottura di c...».

Poi il peggio è arrivato, con l’indagine che si faceva sempre più stringente e Tedesco che chiedeva a D’alessandro e Di Bernardo di incontrars­i per concordare le versioni da fornire al magistrato: «Mi raccomando non prendere impegni… pariamoci il c...»; e mostrava di temere che fossero gli altri a crollare: «Se ci indagano troviamo l’avvocato buono… Avete detto che non è successo niente? … Io avevo paura per voi due».

Finché i ruoli si sono invertiti, e nell’interrogat­orio del 9 luglio scorso Tedesco ha rivelato al pubblico ministero Musarò: «Nella primavera 2018, dopo un’udienza davanti alla Corte d’assise, D’alessandro mi ha telefonato perché non aveva apprezzato una domanda fatta da un mio difensore a un teste, e mi ha chiesto che intenzioni avessimo, ricordando­mi che dovevamo essere compatti».

Ma ormai il muro si stava sgretoland­o, e i messaggi trasversal­i dei colleghi coimputati hanno convinto il «pentito» a proseguire sulla sua strada. Aggiungend­o un’altra accusa contro D’alessandro: «Mi ha detto di aver cancellato quanto lui aveva scritto sul registro in occasione del fotosegnal­amento di Cucchi».

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