Parte il boicottaggio alla «Davos saudita» Ma Trump vuole proteggere gli affari
Donald Trump assicura di «voler andare fino in fondo» sulla scomparsa del giornalista Jamal Khashoggi. Ma gli affari con l’arabia Saudita non si toccano. Il presidente è chiaro: «I sauditi ci compreranno armi per 110 miliardi di dollari. Che succede se cancelliamo il contratto? Semplice: le compreranno in Russia o in Cina».
L’accordo fu annunciato dallo stesso presidente americano nel maggio 2017, durante la visita a Riad. Anzi, all’epoca, Trump parlò di una vendita per 270 miliardi di dollari. In realtà, scrive il Washington Post, le cifre sarebbero gonfiate e, per ora, le aziende americane stanno lavorando solo sul sistema di difesa anti-missilistico. Valore 15 miliardi di dollari.
Tuttavia ciò che in questo
momento conta di più è il segnale politico. E Donald Trump non poteva essere più esplicito. La sua cautela ha innescato l’aspra reazione di molti parlamentari. Questa volta anche il senatore repubblicano Lindsay Graham, da ultimo sempre allineato con la Casa Bianca, promette che a Capitol Hill «ci sarà l’inferno» se dovesse risultare che Khashoggi è stato ucciso per ordine del governo saudita.
Nella polemica entra tutto. Per l’occasione i media americani hanno rispolverato gli antichi rapporti d’affari dell’imprenditore Trump: i finanziamenti, la cessione di alberghi, persino di uno yacht ai principi di Riad. Il senatore del Connecticut, il democratico Richard Blumenthal ricorda di aver presentato un’interrogazione per sapere quanto abbiano incassato i Trump hotel a Washington e a New York, grazie alla costante presenza di alti dignitari sauditi. La Casa Bianca aveva già risposto che i ricavi sarebbero finiti nelle casse federali.
Il clan Trump è fonte inesauribile di conflitti di interesse. A quelli di «The Donald», vanno aggiunte le attività immobiliari del genero-consigliere Jared Kushner, che ha consolidato l’asse personale con il principe ereditario Mohammed Bin Salman.
Ma ci sono altre tracce, anche più importanti, da seguire. Gli intrecci economici tra i due Paesi si sono sviluppati su larga scala. C’è il petrolio, naturalmente. Ma non solo. Il fondo sovrano dell’arabia Saudita, pilotato dal trentatreenne bin Salman, ha investito circa 100 miliardi di dollari nelle principali società della Silicon Valley e in diverse start-up.
Lo stesso principe ereditario organizza ogni anno a Riad la Future investment initiative, una conferenza soprannominata «la Davos del deserto». L’edizione di quest’anno comincerà la prossima settimana. Parteciperà anche il ministro del Tesoro, Steven Mnuchin che ieri, in un’intervista alla Cnbc, ha confermato: «per ora non vedo ragione per cancellare l’impegno», sganciando il business dalla questione Khashoggi.
Altri invitati, però, stanno rinunciando, come Jim Yong Kim, presidente della Banca Mondiale; Bob Bakish, amministratore delegato di Viacom; Dara Khosrowshahi, amministratore delegato di Uber. New York Times, Cnn e Financial Times hanno ritirato la sponsorizzazione
dell’evento. Larry Fink, numero uno del fondo Blackrock non ha ancora deciso e fa sapere di stare «seguendo da vicino la situazione». Tutti chiedono «indagini approfondite» sul giornalista scomparso.
Nell’amministrazione i più preoccupati sono i generali del Pentagono. Il rapporto militare con l’arabia Saudita è naturalmente cruciale per la stabilità nel Medio Oriente. George W. Bush decise di ritirare il grosso del contingente americano nel 2003, lasciando solo alcuni centri di addestramento. Negli anni, grazie alla tecnologia e al training Usa, l’arabia Saudita ha messo in piedi un esercito con 75 mila soldati più altri 100 mila della Guardia nazionale alle dirette dipendenze del Re. Le ambizioni regionali dei sauditi sono evidenti. Dall’intervento in Yemen ai raid antiiran in Siria. Finora sempre nel solco della politica estera americana. E così deve continuare, dicono al Pentagono.