Un burkini in piscina: si riapre in Francia la lite sui simboli religiosi
Linea di En Marche: più lo vietiamo, più lo indossano
PARIGI Alla piscina Gayeulles di Rennes, in Bretagna, qualche giorno fa una donna è entrata in acqua in burkini, l’indumento che copre tutto il corpo tranne il volto. Il burkini, prodotto anche da grandi marche dell’abbigliamento sportivo, prende il nome da una paradossale unione tra bikini e burqa e permette di fare il bagno in mare o in piscina anche alle donne che seguono una versione rigorista dell’islam. In Francia si è riaperto così il dibattito dell’estate 2016, quando subito dopo l’attentato della promenade des Anglais sulle spiagge di Nizza si presentarono alcune donne in burkini.
In quell’occasione i sindaci della Costa Azzurra approvarono ordinanze che vietavano il burkini, poi annullate dal Consiglio di Stato. Stavolta, di fronte alle proteste di alcuni frequentatori della piscina, la sindaca socialista di Rennes, Nathalie Appéré, ha chiarito che il burkini è ammesso e ha chiesto di «non rendere isterico il dibattito pubblico». Il suo consigliere allo Sport, Yvon Léziart, ha precisato che «le sole esigenze da considerare sono l’igiene e la sicurezza. Il costume da bagno deve essere fabbricato in una materia, per esempio la lycra, adatta al nuoto, e non va indossato prima dell’ingresso negli spogliatoi. Il resto non ci riguarda».
Molti non sono d’accordo, come il consigliere della destra repubblicana Gurval Guiguen: «Il dibattito è interessante non perché il fenomeno sia importante nei numeri — per adesso è ancora marginale — ma perché è concreto da un punto di vista ideologico: mostra la divisione tra coloro che vogliono combattere l’islam estremista, e quelli voltano lo sguardo».
All’epoca del caso di Nizza il primo ministro era Manuel Valls, interprete di una linea intransigente contro l’islam radicale, e infatti Valls appoggiò il divieto. Macron ha una visione più accomodante della questione. In passato il presidente è arrivato a parlare semmai di una «radicalizzazione della laicità». Così il deputato di En Marche Mustapha Laabid è favorevole a permettere il burkini perché «più lo vogliamo vietare, più le donne lo compreranno in segno di sfida. Oggi sono 6, domani saranno 600. È lo Stato a essere laico, non i cittadini.
L’episodio
A Rennes il caso: la sindaca ha chiesto di non rendere isterico il confronto pubblico
Non possiamo proibirlo, è solo un costume da bagno».
Il dibattito potrebbe ampliarsi nei prossimi giorni, quando è atteso un parere del Comitato dei diritti dell’uomo dell’onu sul burqa. Secondo il quotidiano cattolico La Croix, i 18 giuristi del Comitato starebbero per giudicare negativamente la legge del 2010 che proibisce di nascondere il volto nello spazio pubblico, evocando una «minaccia alla libertà religiosa» e una «discriminazione» verso le donne.