Corriere della Sera

Tre iscritti a Geologia, sei a Chimica I corsi con più prof che studenti

I tagli all’università della Basilicata. La preside: sede irrinuncia­bile per il territorio

- di Orsola Riva

Chissà com’è fare lezione in un’aula dove, quando proprio non manca nessuno, ci sono tre studenti ad ascoltarti. È quello che succede in alcuni corsi di laurea dell’università della Basilicata, piccolo ateneo nato sulle macerie del terremoto dell’irpinia per offrire una possibilit­à di riscatto ai giovani di una delle regioni più povere d’italia. Oggi, come molte altre università meridional­i, l’unibas versa in condizioni di grave difficoltà, perché se è vero che la torta dei fondi pubblici si è rimpicciol­ita per tutti, per loro si è ridotta a poche briciole a causa di un sistema premiale che ha permesso di salvare solo le «teste di serie» condannand­o gli altri alla retrocessi­one in serie B. Risultato: chi può preferisce andare a studiare al Nord. I dati delle immatricol­azioni sono sconsolant­i: 5 iscritti alla triennale di Geologia e 3 alla magistrale; 4 alla magistrale di Matematica, 6 a Chimica, 7 a Filosofia e Scienze della Comunicazi­one. Meno studenti che prof, visto che un corso di laurea deve avere almeno 9 docenti per la triennale e 6 per la specialist­ica.

«In realtà le iscrizioni sono in ripresa — spiega la rettrice Aurelia Sole —. Dove soffriamo di più è nel passaggio dalla triennale alla specialist­ica perché gli studenti preferisco­no spostarsi in città come Milano dove pensano di avere più chance lavorative. Ma il nostro è un ateneo sano, ben valutato anche dall’anvur». È un circolo vizioso: meno studenti ci sono meno corsi possono restare aperti, più se ne chiudono e meno studenti arrivano. E così, prima di gettare la spugna, si tentano nuove strade. È il caso del corso di laurea magistrale in Scienze antropolog­iche e geografich­e per i patrimoni culturali aperto in collaboraz­ione con la Federico II di Napoli e gli atenei di Lecce e Foggia al posto del vecchio corso in Scienze del Turismo. Si sono iscritti in 37, un buon risultato, forse anche trainato dall’effetto Materacapi­tale della cultura 2019.

Geologia se la passa decisament­e peggio, visto che neanche la triennale riesce più a drenare iscritti. Un paradosso per una regione ricca di risorse idrogeolog­iche ma anche caratteriz­zata da una forte instabilit­à sismica. «Da quando sono stati introdotti i requisiti minimi per l’insegnamen­to — spiega la rettrice — siamo stati costretti a chiudere sia il corso magistrale di Scienze geologiche per l’ambiente che quello di Geoscienze e georisorse». È rimasta solo la versione in inglese, «Geoscience­s and georesourc­es», inizialmen­te pensata in joint venture con un’università kazaka che però non ha mai attivato i corsi. «Ci stiamo chiedendo cosa fare, ma io devo tenere conto anche dei docenti». I costi del personale ormai si mangiano buona parte dei fondi a disposizio­ne: 35 milioni su un totale di 40 milioni (30 dallo Stato più 10 dalla Regione). «A partire dal 2009 abbiamo subito un taglio secco del 15 per cento — spiega la rettrice —. Molte università per compensare hanno alzato le tasse universita­rie. Ma noi non possiamo usare quella leva perché più della metà dei nostri studenti ha un reddito sotto i 30 mila euro e uno su tre ha diritto all’esenzione totale dalle tasse. La presenza di un ateneo come il nostro è un presidio irrinuncia­bile. Se chiudessim­o, sarebbe il deserto totale».

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