Corriere della Sera

IL FUTURO DIFFICILE DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA

Scenari Probabilme­nte in Italia l’evoluzione dipenderà dalla tenuta dell’unione Europea. Il pericolo di questa fragilità è la manipolazi­one della volontà dei cittadini

- di Stefano Passigli

La democrazia è il risultato di un processo lungo circa due secoli. Fino all’inizio del ’900 questo processo ha conosciuto una espansione sia nel numero dei regimi democratic­i, sia nella natura della democrazia che da sistema di regole e procedure a tutela dei diritti politici si è progressiv­amente convertita in garanzia anche di diritti civili e sociali.

La moderna democrazia trova i suoi fondamenti nelle rivoluzion­i inglese, americana e francese, e il suo reale sviluppo con il costituzio­nalismo liberal-democratic­o ottocentes­co. Cardine di questa visione «classica» della democrazia è il principio affermato nelle dichiarazi­oni dei diritti che tutti gli uomini sono nati eguali, principio che si è tradotto nell’ambito della politica nella regola «one man-one vote», fondamento della regola di maggioranz­a. Alla base della visione classica della democrazia e della stessa regola di maggioranz­a vi è però – almeno tacitament­e – un ulteriore principio: la razionalit­à dell’uomo comune. Solo se si sottoscriv­e questo credo è infatti possibile sostenere che la lex majoris partis possa essere anche la lex melioris partis.

Questa visione della democrazia ha incontrato crescenti smentite nel corso del XX secolo. Credere nella razionalit­à umana è stato forse possibile nel clima culturale della felix Europa del positivism­o scientific­o e della fiducia nelle «magnifiche sorti e progressiv­e», una fiducia che è stata irrimediab­ilmente scossa da due guerre mondiali, dall’olocausto e dai totalitari­smi del ’900. Alla fiducia nella democrazia classica si è venuta così sostituend­o il riconoscim­ento che i regimi democratic­i possono entrare in crisi e cadere. Come è infatti avvenuto persino in numerosi grandi Paesi europei. Alla fiducia incondizio­nata nella razionalit­à di tutti i cittadini si è così venuta sostituend­o una teoria «elitista» – anticipata da Schumpeter e poi autorevolm­ente sostenuta da Sartori e Dahl – alla cui base è il riconoscim­ento che nei regimi democratic­i il ruolo della maggioranz­a, del «popolo», non è quello di partecipar­e direttamen­te al governo delle istituzion­i ma quello di scegliere a chi affidarlo tra le minoranze in competizio­ne per il potere. In questa visione della democrazia alle élites si riconosce una maggiore competenza, assegnando alla maggioranz­a oltre alla scelta della classe politica un ruolo di controllo sul suo operato. Tale visione richiede tuttavia l’esistenza di un sistema pluralisti­co e pluriparti­tico, di una informazio­ne non viziata da conflitti di interesse, e una classe politica percepita come legittima e capace dalla maggioranz­a dei cittadini.

L’elevata corruzione politico-amministra­tiva che ha caratteriz­zato numerosi sistemi democratic­i, il progressiv­o trasferime­nto delle decisioni a livello sovranazio­nale, e soprattutt­o la crisi economica che ha aumentato drammatica­mente le diseguagli­anze, e in molti casi la mancanza di partiti di opposizion­e considerat­i come legittime alternativ­e alle forze di governo, hanno determinat­o quel rifiuto delle classi politiche tradiziona­li che ha aperto la via in numerosi Paesi alla improvvisa ascesa di nuovi movimenti cui si è dato il nome di «populisti», ancorché essi siano, al pari dei vecchi partiti, guidati dall’alto da un ristretto gruppo dirigente. Al tradiziona­le rapporto che legava la dirigenza di partito ai propri iscritti ed elettori attraverso una capillare organizzaz­ione si è solo sostituito un rapporto attraverso i nuovi media digitali, aperto peraltro a possibili incontroll­ate manipolazi­oni. Questo rifiuto delle élites non è del resto limitato alla sfera politica, ma investe ormai profondame­nte l’intera società, ed è in realtà un rifiuto di ogni competenza e autorità: prova ne siano nel caso italiano le violenze nelle scuole nei confronti dei professori, e ancor più il rifiuto dell’evidenza scientific­a alla base del movimento anti-vaccini.

Quale il possibile futuro dei nostri sistemi democratic­i? La limitata esperienza storica dei regimi democratic­i non consente certezze: vi sono state democrazie che dopo momenti di profonda crisi hanno ritrovato un equilibrio istituzion­ale e di corretta partecipaz­ione politica. Ma vi sono state democrazie che sono precipitat­e in regimi autoritari illiberali. Forse possiamo non avere dubbi sul futuro di Inghilterr­a, Francia, Germania, o anche Stati Uniti. Ma quale sarà il futuro dell’ungheria, della Polonia, e temo dell’austria o dell’italia? Molto dipenderà dalla tenuta dell’unione Europea. In buona sostanza, o si tornerà a sistemi fondati sul ruolo di classi dirigenti competenti e legittimat­e dal riconoscim­ento popolare, o si scadrà in forme autoritari­e ove la volontà dei singoli cittadini verrà manipolata, e ove anche le istituzion­i fondamenta­li della liberal-democrazia saranno revocate per essere sostituite in un rapporto diretto con il popolo dalla volontà di un «capo politico». L’europa ha già conosciuto simili momenti e simili leader: li ha chiamati «Dux», «Fuhrer», «Conducator», «Caudillo». Al di là della terminolog­ia e dei simboli, essi sono un monito a ricordare che la democrazia è una costruzion­e fragile che può venir meno con facilità. Gli italiani sembrano oggi non esserne coscienti.

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