«Così mia zia Tina difese la sua gallina»
Torino, periferia, seconda guerra mondiale. Mia zia Tina, rimasta vedova con tre figli, si aiutava economicamente stirando biancheria per alcuni torinesi più fortunati. Ma la sua fortuna e quella dei suoi figli era una gallina. Sì, una gallina, che dava un uovo al giorno, se portata un pochino in giro a beccare la poca erba che nasceva intorno al marciapiede, insomma per la strada in angolini un po’ soleggiati ma non troppo. Non ho mai saputo come si chiamasse, anzi non credo avesse un nome; all’epoca gli animali facevano gli animali, com’è giusto che sia. In una giornata particolarmente difficile Tina incontra, nella sua passeggiata quotidiana per far mangiare la gallina, dei militari stranieri che affamati e muniti di fucile vogliono sottrarle la gallina, per mangiarsela. Anche loro avevano fame. Zia Tina tira fuori tutta la forza che ha, si fa capire, combatte per quell’uovo al giorno da dividere in quattro persone. Urla, spiega, si impone con una forza che solo le donne madri hanno; e torna a casa con la sua gallina, la quale penso che aveva capito tutta la situazione, ed era quindi pure lei sollevata. Cosa più di questo per aiutare il paese fatto di persone comuni a continuare a sperare nella fine della guerra? Senza cibo in quegli anni non si poteva vivere, non si poteva ridare e ridarsi dignità. Da lì abbiamo potuto ricominciare.