«Il caffé e l’empatia Come Starbucks racconta Milano»
Liz Muller, la designer del locale già icona
È aperto da poco più di un mese ma è già una «destinazione». Starbucks, nello storico edificio delle Poste di piazza Cordusio, si è conquistato in poco tempo uno spazio tra le mete obbligate di Milano. Il motivo sta nell’aver disegnato un luogo che va oltre il puro progetto di un ambiente. Certo, l’idea di partenza è rappresentare il genius loci di una città che nell’immaginario comune è il simbolo italiano della creatività, come spiega Liz Muller, responsabile del design del marchio e autrice del progetto Starbucks Reserve Roastery (primo in Italia e terzo nel mondo): «Abbiamo trascorso un anno e mezzo venendo avanti e indietro da Milano per respirare la cultura, il design e l’atmosfera della città. E poterli tradurre in un luogo che fosse audace e innovativo con l’aiuto dell’eccellenza delle manualità italiane, e con i materiali locali più belli e ricercati».
Nessun format fisso dalle altre Roastery, ma una base su cui innestare le suggestioni, quelle stesse che gli stranieri colgono in Italia: «I colori vivaci, i materiali della tradizione milanese (il marmo, usato anche per il bancone, il porfido che riveste il forno, la palladiana del pavimento, il bronzo). Ma anche il processo di torrefazione del caffè, italiano come la grande macchina messa al centro dell’ambiente». Insomma, le citazioni puntuali sono tante e combinate con maestria, eppure non è questo il punto. Perché, entrando, non ci si sente necessariamente a Milano né in Italia: la geografia lascia il posto a una ribalta, dove conta il fare e il condividere. Tutto ciò si deve in parte alla formazione internazionale di Muller(«dopo la laurea in retail design, sono entrata nello studio di progettazione di una grande magazzino in Sud Africa, arrivando al ruolo di vicepresidente architettura e design — racconta —. Da lì ho aperto il mio studio di progettazione con uffici a Johannesburg e Città del Capo, per entrare poi nel 2007 in Starbucks») ma sicuramente le esperienze milanesi di Muller hanno fatto il resto. «Ogni volta che vengo, sento una città che pulsa di passione. C’è sempre qualcosa di nuovo da cui farsi ispirare, sia un’architettura, un’opera d’arte, una boutique di moda, ma soprattutto le persone che incontro», dice. In questo spazio di 2.300 mq, il design ha come punto di arrivo la costruzione di un’atmosfera. «L’italia e Milano in particolare sono un riferimento per i creativi: sta a noi cogliere il meglio e tradurlo in modo non omologato», afferma Muller. «Un buon design sceglie le capacità artigianali, i materiali e i colori giusti, ma poi deve saperli armonizzare per creare un ambiente bello e che faccia stare bene le persone».
Basta guardarsi intorno per capirlo: chi entra qui gira a curiosare, si ferma a vedere il processo di tostatura (immersivo, con tanto di realtà aumentata), si siede sui divanetti a chattare con lo smartphone o a leggere. Che stia bevendo un caffè o gustando un dolce è quasi irrilevante. L’obiettivo è stare qui. Un altro volto del design, forse meno italiano, ma sicuramente più inclusivo. E coinvolgente.
d Un anno e mezzo a respirare la cultura e il design della città. Per poi tradurli in un locale che fosse innovativo