«Così con un alcoltest abbiamo dato un nome a Ignoto 1»
Bergamo, il genetista del laboratorio di Pavia «Ci è voluto sesto senso e tanto lavoro»
BERGAMO «Certo che me lo ricordo, era il 15 giugno 2014, una domenica. Ci portarono il boccaglio e alle tre di notte emerse il risultato». Il dna di Ignoto 1, l’assassino di Yara Gambirasio cercato per oltre tre anni, corrispondeva al dna di Massimo Bossetti, un muratore allora conosciuto per il quale venerdì, in Cassazione, è stato confermato l’ergastolo. La corrispondenza uscì sotto gli occhi di Carlo Previderè, responsabile del laboratorio di genetica forense dell’università di Pavia, e della ricercatrice Pierangela Grignani. Fu la svolta, la vigilia del fermo. Alle tre di notte chi avvisò del risultato?
«I carabinieri ci avevano portato il boccaglio dell’alcoltest di Bossetti. Erano rimasti
tutti svegli ad aspettare l’esito. Chiamammo il pm, la dottoressa Ruggeri».
L’indagine sembrava paralizzata, invece la chiusura del cerchio arrivò dall’analisi, in apparenza secondaria, sui peli ritrovati su Yara sollecitata dal genetista di parte civile, Giorgio Portera.
«Per capire se fossero di Yara o di terze persone, ci serviva il suo dna mitocondriale. Nelle relazioni era indicato solo quello di Ignoto 1, così chiedemmo un campione della bambina per ricavare il suo. Scoprimmo che quello indicato come Ignoto 1 in realtà era della vittima».
Con il dna mitocondriale si era cercata, senza esito, la mamma dell’assassino tra 532 dna di donne. Fu commesso un errore?
«C’è stato evidentemente un errore nella trasmissione dei dati, come è emerso al processo». Come ne siete usciti?
«Con una sorta di sesto senso della mia collega Grignani.
Ha sempre avuto la forte sensazione che tra quei 532 dna ci fosse la mamma di Ignoto 1. È stata fondamentale, ha insistito e mi ha fatto insistere. Li abbiamo riconfrontati con Ignoto 1, stavolta con il nucleare, ed emerse la madre: condividevano un allele (particolare variante del Dna
ndr) molto raro». Chiamò subito la pm?
«Le consegnammo il risultato il 14 giugno, sabato. Il dato era già emerso da qualche giorno, ma prima di comunicarlo lo confermammo più e più volte. Un’evidenza così rilevante era deflagrante. Cercai di dire alla dottoressa Ruggeri che ci saremmo visti il giorno dopo, per parlare delle analisi, ma lei capì che c’erano novità e mi mise alle strette per saperle subito. Glielo dissi: “Abbiamo trovato la madre di Ignoto 1”».
Dalla mamma si arrivò al figlio. Siete scienziati, ma avrà emozionato anche voi.
«Il tonfo al cuore è venuto quando abbiamo trovato la madre, è stata la vera emozione perché dava un senso al lavoro di screening sui 532 dna. Individuare il figlio è stata una conferma, ce lo aspettavamo».
Siete entrati nell’indagine per ultimi, ma siete stati decisivi.
«Abbiamo chiuso il cerchio ma il merito è della squadra, del lavoro egregio del Ris, della polizia scientifica e del collega di Tor Vergata». L’indagine su Yara ha colpito. Anche voi?
«Sicuramente, è un caso unico. Una storia con numerosi colpi di scena e appassionante dal punto di vista scientifico».