Il «Premio Cairo» all’aurora di Cotognini
L’opera dell’artista marchigiano ispirata a Guercino e Guido Reni scelta tra quelle dei 20 finalisti da oggi in mostra a Palazzo Reale
L’arte contemporanea rivela un volto antico. Lavora sul classico e sul neoclassico e vede nel passato un amico al quale appoggiarsi. È così anche per il vincitore della XIX edizione del Premio Cairo, assegnato ieri sera a Palazzo Reale, messo a disposizione dal Comune di Milano (presente l’assessore Filippo Del Corno). Fabrizio Cotognini, nato a Macerata nel 1983, ha preso stampe di due tra i maggiori incisori italiani del Settecento: Giovanni Volpato, competitor di Piranesi sul mercato antiquario romano, e Raffaello Morghen, incisore per Winckelmann e il re di Napoli. Le due stampe sono incisioni da celeberrime opere: le due Aurora di Guercino e di Guido Reni. Quella di Guercino è una tempera per la decorazione del Casino Ludovisi dove dipinse anche Agostino Tassi, lo stupratore di Artemisia Gentileschi (il Casino Ludovisi era stato, peraltro, venduto dal cardinal Del Monte, protettore del pittore-assassino Caravaggio). L’aurora di Guido Reni fu dipinta anch’essa nel Seicento per il Palazzo Pallavicini Rospigliosi, su commissione di Scipione Borghese. Cotognini ha lavorato sulle due stampe tirando righe a matita, pennarello, inchiostro e anche spargendo biacca. Ci ha incollato carte e adesivi trasparenti, ha sbianchettato il cartiglio, ipotizzando piani di fuga, schizzi di esecuzione in maniera piuttosto autonoma, almeno rispetto al disegno quadrettato dell’originale di Guercino che si trova a Berlino. I lavori sulle due incisioni sono uniti in una sorta di dittico intitolato a sua volta Aurora.
«Lavoro sulla costruzione e decostruzione delle opere antiche — ha raccontato il vincitore — cercando di capire che cosa voleva fare l’artista e che cosa io voglio far dire all’opera». Il lavoro appare di neo-postmodernità e non dissimile a una serie di opere che Luca Pignatelli, primo vincitore del Premio Cairo vent’anni fa, ha proposto con la serie dei lavori Icons Unplugged esposti nel 2012 all’istituto Nazionale per la Grafica di Roma.
Ma molti erano i lavori di questo genere tra i venti finalisti del premio, nato con l’intenzione di dare un’opportunità ai giovani artisti italiani under 40. Dei quali, «molti si sono poi affermati», come ha ricordato ieri sera il patron Urbano Cairo. Tra le opere, appunto, che hanno lavorato sulla reinterpretazione del classico ci sono Su effige di Daniela Franzella, uno stendardo classico realizzato in lattice; Mediterraneo di Christian Leperino, un trofeo in gesso sul modello di quelli settecenteschi; e Nottecanto di Paolo Brambilla, un intarsio su legno che ricordava quelli dell’età umanistica, di vaga ispirazione bramantesca. Poi ci sono quelli di un antico-moderno più vicino a noi, come Bagnanti di Nazzarella Poli Maramotti, rifacimento da opera dell’impressionismo e La città che sale 2.0, un lavoro a penna sfera su carta di Paolo Amico, ovviamente tratto da Boccioni. E ci sarebbe anche un bel ritratto a olio del filosofo Ludwig Wittgenstein di Matteo Fabio.
Se sarà mainstream, o solo un passaggio postmoderno, lo vedremo. L’assenza di opere digitali e mondialiste, e la soverchiante citazione dall’antico, dispongono a pensare a un quasi «sovranismo» artistico che, certo, i protagonisti rigetterebbero con forza ma che, al contempo, irresistibilmente si fa strada da solo tra archi dechirichiani in stile Piazze d’italia, un san Francesco in croce, un volto di jeune fille che ci guarda dalla rete metallica che lo genera. Si vive per il futuro, ma portando un passato.
Ciascuno lavora a modo proprio ma rispetto alle prime annate, quelle di Pignatelli, Federico Guida e Matteo Bergamasco, e a opere come Auro taxi di Chris Gilmour e La suprema di Fabio Viale — forse le «preferite» dal patron Cairo che le ha collocate nel suo ufficio — è in ribasso l’installazione e in primo piano la ricerca sui temi dell’autenticità. Ricordiamo qui i nomi anche degli altri artisti finalisti scelti da Miche Bonuomo, direttore del mensile «Arte», con la sua redazione, le cui opere rimarranno esposte a Palazzo Reale sino domenica 21 ottobre: Giuseppe Abate, Romina Bassu, Thomas Berra, Alessandro Calabrese, Gabriella Ciancimino, Valentina Colella, Oscar Giaconia, Sophie Ko, Iva Lulashi, Carlo Miele, Isabella Nazzarri, Edoardo Piermattei, Giorgio Tentolini. In mostra anche le opere dei precedenti vincitori.
Il Premio Cairo pare intercettare le
«Decostruisco i classici cercando di capire che cosa voleva fare l’autore in origine e cosa voglio dire io»
ondivaghe tendenze degli approcci artistici contemporanei. «Nato da una idea di Nuccio Madera, ex direttore di “Arte” con l’intenzione di dare una opportunità ai giovani artisti italiani under 40», ha ricordato Cairo, la galleria dei premiati dal 2000 a oggi rivela un passaggio da un forte impatto iconico (si pensi a Treno di Pignatelli, primo vincitore), all’uso dei video (da Alice Cattaneo ai Masbedo) a giustapposizioni di materiali diversi (Trucco dello scorso anno, realizzato con ombretti). Nel corso delle 18 precedenti edizioni il premio ha visto partecipare 345 artisti: tra questi, ben 41 sono stati successivamente invitati ad esporre alla Biennale di Venezia nelle edizioni tra il 2000 e il 2017. La giuria di quest’anno era composta da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Gabriella Belli, Bruno Corà, Gianfranco Maraniello, Luca Massimo Barbero, Mariolina Bassetti e Mimmo Paladino. Al vincitore sono andati 25 mila euro e a lui sarà dedicato un servizio e la copertina del numero di dicembre di «Arte».