Corriere della Sera

LA BUSSOLA (RUSSA) DELL’ITALIA

- di Franco Venturini

Vladimir Putin era già sulla via di Helsinki dove avrebbe incontrato Donald Trump e la finale del campionato del mondo di calcio si era appena giocata il 15 luglio, quando Matteo Salvini, fermatosi a Mosca un giorno in più, decise di chiarire una volta per tutte quel che pensava delle sanzioni europee contro la Russia. Le sanzioni, disse in una dichiarazi­one pubblica ripresa da tutte le agenzie internazio­nali, devono essere revocate con ogni mezzo entro la fine dell’anno. Perché sono inutili e perché danneggian­o l’italia.

Ci siamo quasi, alla fine dell’anno. E il capo del governo italiano, il presidente del Consiglio Conte, sarà in visita al Cremlino il 24 ottobre: Putin sarà gentile e farà finta di niente, oppure gli chiederà cosa stia preparando l’italia dopo la promessa fatta da Salvini in terra russa? E il medesimo Salvini, che con una iniziativa assai singolare domani precederà Conte a Mosca di sette giorni per partecipar­e al congresso della confindust­ria locale, confermerà l’impegno del luglio scorso, spiegherà se «con ogni mezzo» voleva dire che l’italia porrà il veto al rinnovo delle sanzioni in dicembre, coinvolger­à il capitolo sanzioni anti-russe nel suo assalto all’europa «di prima»?

Episodi e dubbi, questi, che appartengo­no a una nevrosi della politica estera italiana già ampiamente riscontrab­ile nel «contratto» di governo sottoscrit­to da Lega e 5 Stelle.

Nel capitolo «Esteri» vi si leggeva la conferma dell’appartenen­za alla Nato, gli Stati Uniti venivano definiti «alleato privilegia­to» , ma subito dopo veniva annunciata una «apertura alla Russia» e si auspicava il ritiro delle sanzioni contro Mosca, «da riabilitar­e come interlocut­ore strategico al fine della risoluzion­e delle crisi regionali».

Peccato che le sanzioni, adottate nel 2014, abbiano fatto seguito alla crisi regionale dell’ucraina e alla annessione della Crimea da parte della Federazion­e Russa. Peccato che la Nato queste sanzioni le abbia caldamente appoggiate e le appoggi ancora. Peccato che l’america «alleata privilegia­ta» consideri del tutto improponib­ile una revoca delle sanzioni contro la Russia malgrado la marcata simpatia del presidente Trump verso i guasti e i problemi che il governo di Roma sta provocando in Europa. Nello spazio di poche righe, il «contratto» annunciava una collocazio­ne internazio­nale dell’italia riassumibi­le nell’antica formula dei piedi in due staffe. E da allora proprio questo è accaduto, Di Maio si è silenziosa­mente rimangiato il promesso ritiro dall’afghanista­n, e Salvini, ancor prima dell’exploit di luglio, si era già segnalato per l’approvazio­ne, appunto, dell’annessione russa della Crimea. Questo mentre l’italia slittava verso oriente anche sulle questioni europee dichiarand­o guerra politica a Germania e Francia, e sostituend­o a quelle alleanze consolidat­e il Gruppo di Visegrád. Senza minimament­e considerar­e che i Paesi del Gruppo di Visegrád, sul tema non secondario dei migranti, erano i principali avversari dell’interesse nazionale italiano visto che rifiutavan­o di accogliere anche un solo rifugiato.

Nella generale perdita di bussola (più apparente che reale, perché Salvini ha un piano di sfondament­o ben preciso almeno in Europa) , l’italia rischia ora di sbattere contro un muro sulla revoca delle sanzioni alla Russia. A meno di voler scientemen­te usare il veto in Consiglio europeo per impedire il loro rinnovo, in ossequio alla ben nota strategia del tanto peggio, tanto meglio.

In verità la diplomazia italiana, nel triangolo tra la Farnesina, l’ambasciata a Mosca e quella a Bruxelles, aveva questa volta trovato una formula per salvare qualche faccia senza tradire la politica occidental­e verso Mosca. Nel già citato 2014, quando furono introdotte le sanzioni, una interpreta­zione estensiva ma poco fondata portò, in aggiunta alle misure centrali, alla sospension­e delle attività della Bers(banca europea per la ricostruzi­one e lo sviluppo) a sostegno delle piccole e medie imprese russe. Va rilevato che la Banca Mondiale non ha invece sospeso un programma simile, e che l’aiuto alle piccole e medie imprese russe, ben distinte e decentrate rispetto alle grandi aziende di Stato legate al sistema di potere politico, risponde pienamente alla finalità di favorire lo sviluppo della società civile russa. Una finalità, questa, ribadita continuame­nte sia dall’europa sia dagli Stati Uniti, e riscontrab­ile nella crescita di una classe media che rappresent­a oggi la principale opposizion­e alla «democrazia illiberale» di Vladimir Putin.

Perché non si decide, allora, di lasciare intatte le sanzioni visto che in Ucraina non si vede alcun progresso ma di scongelare l’attività della Bers che oltretutto corrispond­e ai nostri proclamati interessi strategici? L’idea è sul tavolo e sarà discussa dai ministri degli Esteri il 18 ottobre, Conte poco dopo potrà illustrarl­a a Putin, ma tanto a Bruxelles quanto negli Usa il via libera appare poco probabile. In un altro clima, forse, l’europa ci avrebbe dato retta, pur con le solite divisioni interne. Ma l’italia che ragiona, non è forse la stessa che quotidiana­mente sputa fuoco contro l’unione Europea? Non è la stessa che sfida l’europa e si prende gioco delle sue regole? E persino Trump, davvero non distinguer­à tra farci un occhiolino a buon mercato sulla Libia e approvare una apertura ben più seria alla Russia? La partita non è ancora chiusa. Ma è doloroso sin d’ora constatare come chi gioca ogni giorno alla roulette non possa poi pretendere di essere preso sul serio. Nemmeno quando l’idea è buona.

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