Corriere della Sera

La virata delle banche Ora vendono i titoli di Stato per difendere i bilanci dall’effetto spread

- di Federico Fubini

In agosto le banche italiane hanno iniziato mostrare un comportame­nto senza precedenti per le fasi di tensione finanziari­a sul Paese. Anziché comprare titoli di Stato mentre gli altri investitor­i vendevano, in modo da contrastar­ne la tendenza, gli istituti si sono uniti alla corrente. Si sono alleggerit­e di debito pubblico dell’italia, anche a costo di contribuir­e all’aumento degli interessi a carico del Tesoro: in agosto l’esposizion­e del sistema creditizio nazionale, pur restando elevata, è scesa di quasi nove miliardi (in base all’ultimo bollettino «Moneta e banche» di Banca d’italia).

In altri termini, nel momento di bisogno da parte del governo, per la prima volta le banche hanno iniziato a praticare un’implicita forma di graduale separazion­e dai suoi destini. Di rado era successo in precedenza. Nel 2011 o nel 2012 e di nuovo nei primi mesi della fase di instabilit­à apertasi a maggio con la prima bozza del «contratto» M5s-lega, gli istituti si erano mossi in direzione opposta. Avevano cercato di collaborar­e con le autorità. La loro esposizion­e sul debito pubblico era salita di 11 miliardi in maggio e di altri 17 in giugno, proprio mentre i titoli del Tesoro erano colpiti da un’ondata di vendite dall’estero con crolli dei prezzi che portarono i rendimenti a dieci anni a esplodere.

Il comportame­nto in controtend­enza degli istituti aveva una logica: poiché all’inizio di maggio in aggregato la loro esposizion­e sul debito pubblico era di 340 miliardi, il loro destino era (e resta) legato a quello del governo. La caduta del valore dei titoli pubblici, che va in senso opposto all’aumento dei rendimenti, genera minusvalen­ze per le banche che li detengono in bilancio. E un eventuale default dello Stato travolgere­bbe molte di esse. Secondo alcune stime, un allagament­o di cento punti (1%) dello scarto fra rendimenti italiani e tedeschi a dieci anni — il cosiddetto spread — può produrre in aggregato 1,8 miliardi di perdite in bilancio per i primi tre istituti del Paese: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco-bpm. Non sorprende dunque che la difesa dello Stato tramite acquisti di debito in controtend­enza rappresent­i, per il settore del credito, anche un’autodifesa.

Questa tradiziona­le forma di mutuo sostegno fra banche e governo sembra però in crisi. Quest’ultimo prevede un aumento della pressione fiscale sulle prime, pur di rastrellar­e coperture per sussidi «di cittadinan­za» o per le pensioni; inoltre, l’incertezza creata dall’esecutivo ha già fatto perdere il 32% all’indice bancario del Ftse-mib di Milano dall’uscita della prima bozza di «contratto», proprio a causa delle perdite sui titoli sovrani. Gli istituti dunque ormai stanno cambiando strategia: iniziano ad alleggerir­si di titoli di Stato anche se lo spread sale, come in agosto (i rendimenti a 10 anni in quel mese erano saliti dal 2,79 al 3,24%).

Siamo dunque ai primi passi della separazion­e, benché la strada resti lunga. A fine agosto l’esposizion­e del sistema bancario sul debito pubblico era ancora di 372 miliardi. Le banche restano talmente vulnerabil­i alle fluttuazio­ni dei titoli di Stato che molte stanno attuando una strategia difensiva in parallelo: spostare parte dei bond sovrani dal portafogli­o di trading (il cosiddetto «htcs») al portafogli­o che prevede di tenerli fino a scadenza («htc» o held to collect). Unicredit, Banco-bpm o Creval hanno iniziato a farlo nel secondo trimestre, altre seguiranno. Ciò permette di non segnare le perdite sui titoli pubblici in bilancio ogni tre mesi, evitando magari l’esigenza di aumenti di capitale perché il capitale viene eroso. Ma i banchieri sanno che si tratta di una tattica di breve respiro: vera stabilità, e credito all’economia, può venire solo da conti pubblici stabili.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy