Corriere della Sera

Raymond, pronto a lasciare Riace: «Voglio solo lavorare»

Scappato dalla Nigeria, ha 35 anni: la cooperativ­a non mi paga da 8 mesi, faccio appello al Viminale

- DAL NOSTRO INVIATO (Costantino/ansa) Fabrizio Caccia

RIACE (REGGIO CALABRIA) «Sapete una cosa? Qua tutti gli immigrati pensano che Riace is bad, a Riace oggi si vive male, ma non lo dicono perché hanno paura... Io invece no, ormai ho deciso, da Riace me ne andrò. Ho i documenti in regola, la protezione sussidiari­a mi scade tra due anni, lo posso già chiedere il trasferime­nto?». Raymond Ibi, 35 anni, nigeriano, una moglie e un bimbo di 2 anni al seguito, non si unisce al coro dei tanti come lui, richiedent­i asilo o rifugiati, che invece ogni giorno dichiarano alle mille television­i in giro per il paese di voler restare nella «città dell’accoglienz­a» del sindaco Mimmo Lucano, dal 2 ottobre ai domiciliar­i (oggi a Reggio Calabria il Riesame deciderà sull’istanza di liberazion­e).

E perché mai gli altri migranti avrebbero paura? E soprattutt­o di che? «Paura di perdere tutto, il poco che ci resta, la casa — ci spiega Raymond in inglese —. Ma io non ci sto più! Posso passare, mi chiedo, tutti i miei giorni seduto su questa panchina, in piazza del Municipio, aspettando che arrivi Jerry, l’italiano della cooperativ­a Welcome, per chiedergli ogni volta se e quando vedrò mai i miei soldi? Sto a Riace da 8 mesi e ho già 5 mesi di pocket money in arretrato, uno al giorno per il valore di 2 euro e 50, fatevi il conto».

Raymond non ha una vita facile alle spalle. È scappato dalla Nigeria, racconta, perché gli ammazzaron­o il padre e la madre durante una delle tante faide tra villaggi e lui si salvò solo perché in quel momento non era a casa. Con l’aiuto economico della sorella, rimasta in Nigeria ad accudire gli altri otto figli di lui, è arrivato in Libia e addosso ne porta ancora i segni. «Prima della partenza per Lampedusa sono stato 8 mesi in una prigione, là mi hanno legato, riempito di botte e marchiato l’orecchio sinistro con un coltello. Ho ancora la cicatrice». Tre anni fa è sbarcato in Sicilia con la moglie, un anno dopo è nato il suo nono figlio, quindi con la famiglia si è trasferito a Padova, ammesso in un altro progetto Sprar: «A me piace lavorare, in Nigeria ero muratore, qui a Riace invece non si trova più nemmeno un’occasione in campagna, i soldi del governo non arrivano più e da mesi hanno chiuso tutti i progetti d’accoglienz­a, i laboratori. Da cinque giorni, poi, neanche i nostri amici negozianti accettano più di farsi pagare con i buoni colorati della cooperativ­a e così adesso moriamo tutti di fame, non abbiamo neanche i soldi per comprare il latte ai bambini».

I buoni della cooperativ­a non sono più garantiti dai fondi statali, ecco perché i negozianti hanno smesso di prenderli, però fanno a gara ancora oggi ad aiutare queste famiglie, regalando panini ai grandi e caramelle ai piccini. L’umanità, per fortuna, è rimasta di casa.

E dove sogna di trasferirs­i, Raymond, insieme alla sua famiglia? «Ogni posto è buono, ovunque ci sia lavoro, lo dico al ministro Salvini. Io, poi, non ho mai smesso di pensare agli altri figli che ho lasciato in Nigeria, per questo vorrei lavorare anche per mandare qualche soldo a mia sorella. Ma il lavoro qua non si trova e la verità è che nessuno di noi può più restare a Riace».

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Il paesino Migranti e abitanti di Riace

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