«Contagio» verde in Germania Fischer: batteranno i populismi
L’ex ministro: nuova generazione ed ecologia le chiavi del successo
BERLINO Joschka Fischer è contento. L’aveva sperato, aveva fiutato il nuovo Zeitgeist, lo spirito del tempo, ma l’ex ministro degli Esteri mai si sarebbe aspettato, tredici anni dopo il suo addio al potere, di rivedere i suoi Verdi al centro della politica tedesca. Non come potenziali junior partner di una coalizione di governo, ma da protagonisti, forti di consensi elettorali a doppia cifra e soprattutto di una nuova capacità strategica che li profila come agenti di un cambiamento allo stesso tempo pragmatico e visionario.
«Il successo in Baviera ha molte spiegazioni — dice Fischer —, ma io ne cito tre: il rinnovamento generazionale dei Grünen che ha portato al vertice una squadra di giovani molto preparata e concreta; la riappropriazione dei temi ecologici che i cambiamenti climatici hanno reso di nuovo attuali; la chiarezza di posizioni sull’immigrazione e l’europa, che dimostra come si possono vincere le elezioni con una battaglia per la società aperta e una maggiore integrazione europea».
Certo, c’è dell’altro all’origine del balzo dall’8,6 per cento al 17,5 per cento registrato domenica sera. Al disorientamento della Csu, il partitostato che ha cercato di evitare la perdita del potere inseguendo le parole d’ordine dell’estremismo populista, si è aggiunta la crisi strutturale della Spd, ormai presenza senza qualità sulla scena politica tedesca. Due fattori che hanno consentito ai Grünen di proporsi come alternativa credibile sia ai moderati delusi dalla sbandata a destra dei cristiano-sociali, sia ai progressisti in rotta con la socialdemocrazia.
È un meccanismo che funziona anche a livello federale, dove i Verdi viaggiano sopra il 16 per cento nelle intenzioni di voto. La sfida populista rende insicura non solo la Cdu, dove impazza la polemica sulla politica migratoria di Angela Merkel, ma tutti i partiti. Perfino la Spd e la Linke mettono la sordina ai loro impulsi tradizionali, cercando formule attraenti anche per gli elettori sedotti da AFD. Come ricorda Fischer, i Grünen sono oggi il solo partito politico tedesco schierato senza se e senza ma su una linea europeista, liberal-democratica, favorevole all’accoglienza e all’integrazione. Anche se questo non impedisce a Robert Habeck, giovane co-presidente insieme a Annalena Baerbock, di sdoganare il termine Heimat, piccola patria, tradizionale patrimonio della destra, abbracciandone una lettura moderna che la vuole inclusiva e aperta.
Proseguendo nella lista di Fischer, la nuova centralità dell’ecologismo gioca un ruolo decisivo nella rinascita dei Verdi. La fase in cui tutti i partiti erano diventati un po’ più verdi è passata. La breve incarnazione di Angela Merkel come «Klimakanzlerin», prodottasi con la decisione di uscire dal nucleare dopo l’incidente di Fukushima, è finita mestamente con la scelta di allungare la vita delle super- inquinanti centrali a carbone e con la difesa d’ufficio dei giganti dell’auto nello scandalo dei diesel truccati. «Sul piano della politica climatica, la Grosse Koalition non ha fatto praticamente nulla», ricorda l’ex ministro. Così gli elettori ecologisti, ma anche nuovi convertiti come i contadini bavaresi, sono tornati all’originale, al solo partito che con credibilità si batte per crescita e alimentazione sostenibili, rispetto dell’ambiente, energie rinnovabili, trasporti puliti.
«Vogliamo cambiare il mondo. Pragmaticamente», è stato l’aforisma di Katharina Schulze, l’eroina delle elezioni bavaresi. In questo nuovo pragmatismo, dove le loro antiche divisioni tra destra e sinistra, realisti e fondamentalisti sono superate, i Grünen si misurano con le dicotomie della modernità: liberale/illiberale, democratico/antidemocratico, europeista/nazionalista.
Sarà un problema non governare in Baviera, nonostante il successo? Fischer dice no, perché «un’alleanza con la Csu sarebbe stata troppo complicata e rischiosa». Ma il dilemma resta. Solo chi governa può cambiare un Land o un Paese.