Energia, la sfida dell’olio (di frittura)
Eni ha creato le bioraffinerie che possono lavorare anche con i rifiuti di ristoranti e case Sullo scarto tra i più inquinanti accordo tra Conoe e i Comuni
+1,5 gradi il rialzo delle temperature a fine secolo rispetto ai livelli pre-industriali ed evitare drammatiche conseguenze su scala globale, come fissato dall’accordo sul clima di Parigi del 2015.
Nel 2017 in Italia sono state prodotte 503 mila tonnellate di biodiesel, al sesto posto in Ue ma quinta nell’utilizzo con 1,06 milioni di tonnellate, per il 100% certificate sostenibili (dato Biofuels Barometer di Eurobserv’er). Nei 28 Paesi Ue sono state prodotte 15,5 milioni di tonnellate di biocarburanti, con un incremento del 9,2% rispetto all’anno precedente. Il biodiesel diminuisce dal 65 al 90% le emissioni di CO2 rispetto al normale gasolio, con meno particolato e una riduzione dei gas contenti zolfo prodotti dalla combustione nei motori.
«La bioraffineria di Venezia è in grado di produrre biocarburanti partendo da oli vegetali tradizionali», entra nei dettagli Ricci. «Ma l’impianto è stato studiato e realizzato per essere flessibile, cioè è in grado di operare con materie prime rinnovabili diversificate come, per esempio, grassi animali derivati dagli scarti di macellazione e olio alimentare esausto di frittura».
Per l’olio di scarto il punto critico è la raccolta: solo circa un quarto dell’olio usato nelle cucine italiane viene raccolto e conferito alle bioraffinerie per diventare biodiesel. Tutto il resto viene disperso nell’ambiente oppure gettato nei lavandini, provocando un grave inquinamento e una diminuzione dell’efficienza degli impianti di depurazione delle acque di scarico. Tenendo conto che per legge Ue solo il 7% di biocarburanti può essere fatto con oli derivati da colture alimentari e che tra dodici anni l’olio di palma non si potrà più utilizzare perché la coltivazione di palma da olio ha causato deforestazione e riduzione degli habitat in Indonesia, Malaysia e altri Paesi tropicali, è indispensabile quindi aumentare la percentuale di recupero degli oli di cucina di scarto, compatibili con la produzione di biodiesel. Non sono adatti, invece, gli oli minerali usati (quelli di auto e camion), ancora più inquinanti se dispersi nell’ambiente, che vengono raccolti da appositi consorzi e avviati alla rigenerazione.
Il Conoe è il consorzio che raccoglie l’olio alimentare esausto dai centri di raccolta comunali o direttamente da ristoranti e mense. «Per il 2018 prevediamo di migliorare la raccolta arrivando a 75 mila tonnellate», dice Francesco Antonazzo, direttore del Conoe. Si stima che ogni famiglia italiana produca in media 3 litri all’anno di olio esausto da cottura, frittura o conservazione dei cibi (sottoli, tonno, ecc.) per un totale di 280 mila tonnellate. Nel maggio 2017 Conoe ha sottoscritto un accordo con Eni per alimentare con l’olio raccolto le centrali di Marghera e Gela. «Nelle prossime settimane firmeremo un accordo con l’anci, l’associazione dei Comuni italiani, per implementare la raccolta», prosegue Antonazzo. «Lo scorso anno il 90% della raccolta è diventato carburante green. Una buona pratica di vera economia circolare che, oltre ai benefici ambientali, implica anche importanti benefici economici. Da quando il Conoe è attivo si sono risparmiati circa 112 milioni di euro sulle importazioni di petrolio».
«C’è un grande potenziale nella raccolta», riprende Ricci. «A Porto Marghera abbiamo consegnato a tutti i dipendenti una tanica per la raccolta dell’olio a casa. Può essere conferito anche in un apposito contenitore all’interno dello stabilimento che viene prelevato e purificato da Veritas, la municipalizzata veneziana per i servizi ambientali, e lo restituisce alla raffineria per la lavorazione. Il gasolio di alta qualità così prodotto viene utilizzato per i vaporetti di Venezia. Una sperimentazione è stata fatta con i bus pubblici di Torino». Un accordo simile a quello di Venezia è stato siglato il mese scorso a Roma con Ama, società pubblica di Roma Capitale, per avviare presso due sedi Eni la raccolta di oli alimentari esausti prodotti nelle abitazioni dei 1.800 dipendenti.
Altre nazioni, specie Stati Uniti e Brasile, hanno preferito puntare sul bioetanolo, che però viene prodotto con colture alimentari come canna da zucchero e cereali. L’europa, dove la motorizzazione diesel è molto più diffusa, ha puntato invece su biogasolio e biometano. Nel settembre dello scorso anno l’ue ha ridotto i dazi sul biodiesel importato dall’argentina (finanziato da forti sussidi governativi), che arriva in Europa a prezzi più bassi del prodotto europeo. Secondo Joel Schneider, presidente del gruppo biodiesel di Assitol (aderente a Confindustria), se non si riportano i dazi argentini a un livello adeguato, un intero settore economico rischia il collasso. Anche perché il biodiesel italiano deriva da semi oleosi (colza, girasole, soia), non Ogm. «Stiamo sperimentando altre alternative, per esempio le alghe con un impianto pilota in Sicilia — riprende Ricci —. Le nostre due bioraffinerie sono predisposte anche per produrre biocarburanti per aerei. Al momento però il suo utilizzo è ancora in fase sperimentale e la domanda è molto scarsa». Nel 2013 una cooperativa di Trieste aveva raccolto olio usato che aveva poi trasformato in biodiesel per alimentare due pescherecci. Invece una centrale elettrica alimentata a olio di cucina usato, presentata in pompa magna sempre nel 2013 in Inghilterra, non è mai entrata in funzione. Avrebbe dovuto essere costruita a Beckton, a est di Londra. Nelle fognature di Londra è stata invece scoperta una gigantesca massa di grasso (chiamata fatberg) di 130 tonnellate cresciuta a dismisura per i grassi gettati nei lavandini e nelle acque di scarico. Meglio smaltire l’olio nel modo giusto e trasformarlo in biodiesel.
L’impianto di Marghera, primo al mondo nella riconversione bio di una raffineria, può operare con materie prime rinnovabili diversificate, dai grassi animali degli scarti di macellazione agli oli alimentari. E ora raddoppiamo a Gela Giuseppe Ricci, chief refining e marketing officer di Eni
Nel 2018 contiamo di raccogliere 75 mila tonnellate di oli esausti. Nel 2017 il 90% è diventato carburante green. Da quando esiste il Consorzio abbiamo fatto risparmiare 112 milioni di euro di import di petrolio Francesco Antonazzo, direttore di Conoe