Kelsen ci avverte ancora: la finzione è necessaria alla democrazia
Aragno propone i «Due saggi», ora curati da Mario G. Losano, che il filosofo del diritto scrisse fra il 1920 e il 1925. Testi attualissimi
Pensare che il Parlamento esprima davvero la volontà del popolo, che riesca a trasfondere nelle leggi gli interessi reali degli elettori, sarà pure il fondamento della democrazia ma è solo una «crassa finzione». Perché i politici, una volta eletti, fanno un po’ come gli pare, non seguono alla lettera le indicazioni di chi ha dato loro il voto. Questa «crassa finzione», tuttavia, è necessaria, perché è il modo che abbiamo trovato di darci un ordinamento giuridico.
Erano queste, nel 1925, le riflessioni di uno dei più grandi filosofi del diritto del Novecento, Hans Kelsen, ed è interessante rileggerle oggi che le ha ripubblicate Aragno — Due saggi sulla democrazia in difficoltà (1920-1925), a cura di Mario G. Losano — perché maturarono in un clima simile a quello che stiamo vivendo, con l’economia in crisi e il concetto di rappresentanza rimesso in discussione. Allora non si parlava di «sindrome da stanchezza democratica», come adesso fa David van Reybrouck, ma la democrazia era comunque criticata da più parti. Kelsen, che aveva partecipato alla stesura della Costituzione austriaca nel 1920 in una situazione simile a quella di Weimar, decise di prenderne le difese. Ma non lo fece in modo acritico, mostrò di riconoscere tutti i limiti della «crassa finzione» e offrì anche delle soluzioni per superarli.
Pensò che andasse sviluppato l’istituto del referendum, facendo decidere direttamente i cittadini quando ad esempio le due Camere fossero state in disaccordo su un deliberato (piccolo problema: l’assemblea contraddetta si sarebbe poi dovuta sciogliere). Immaginò di consolidare l’iniziativa popolare, affidandole oltre che proposte di legge anche direttive generali, «suggerimenti» agli eletti. Aprì le porte perfino al vincolo di mandato, consentendo ai partiti di «licenziare» i parlamentari che non rispettassero il programma elettorale (ma all’epoca non si erano ancora visti tutti i guasti della partitocrazia). Soluzioni che non sono lontane da quelle di cui si discute oggi in Italia, anche se Kelsen si sentiva di escludere categoricamente la realizzabilità di una democrazia diretta vera e propria.
E impartiva una lezione che i politici del nostro tempo sembrano aver dimenticato: il «compromesso» che si raggiunge in Parlamento sulle leggi non deve essere considerato come un male, è anzi l’unico modo concreto di proteggere le minoranze dalla dittatura dei più. E di rendere, forse, la democrazia meno «finta».