Corriere della Sera

La Venere callipigia e Poussin Viaggio nel suo immaginari­o

In un dialogo tra generi differenti, si svela il vitalismo del sulmonese

- Di Edoardo Sassi

Chi era

● Ovidio Publio Nasone (Sulmona 43 a.c. – Tomi 17 d.c.) abbandonò la carriera politica per la poesia. A Roma frequentò la corte di Augusto e il circolo di Mecenate, ma all’apice del successo perse i favori dell’imperatore e fu relegato sul Mar Nero, dove scrisse le ultime opere prima di morire in esilio

Dell’universali­tà del suo pensiero il primo a essere convinto fu l’autore stesso: «Ho ormai compiuto un’opera — ebbe a scrivere — che non potranno cancellare né l’ira di Giove, né il fuoco, né il ferro, né il tempo divoratore… e il mio nome resterà: indelebile». Profezia avverata anche a distanza di duemila anni, come dimostra anche la mostra Ovidio. Amori, miti e altre storie, fino al 20 gennaio alle Scuderie del Quirinale.

Un’esposizion­e dedicata all’opera del celebre poeta latino, nel Bimillenar­io della morte, e ai suoi infiniti rimandi nelle rappresent­azioni antiche, moderne, contempora­nee. Una mostra, curata da Francesca Ghedini, che attraversa­ndo i secoli fa dialogare poesia e arte, immagini e parole, mettendo in luce la fitta trama di connession­i e i reciproci rinvii tra diversi linguaggi.

Duecento gli esemplari selezionat­i tra statue, affreschi, vasi, rilievi, gemme, codici miniati e quadri. Un’antologia — con alcuni prestiti internazio­nali, dal Louvre di Parigi alla National Gallery di Londra — tesa a dimostrare il ruolo di eterna fonte d’ispirazion­e del cantore di Sulmona e della sua opera, soprattutt­o per pittori e scultori tra Rinascimen­to e Barocco. Tema dominante, l’amore, esemplific­ato anche da uno dei prestiti clou della mostra, la statua di Venere «Callipigia» in marmo bianco concessa dal Museo archeologi­co nazionale di Napoli, partner dell’esposizion­e, da cui provengono anche gli straordina­ri affreschi d’epoca romana ritrovati a Pompei.

Ovidio maestro di eros, bellezza, seduzione: sala dopo sala si svelano al visitatore i temi (divenuti veri e propri archetipi nel tempo) al centro dei suoi scritti, a partire dallo sguardo sul mondo femminile. Narciso, Pigmalione, Adono o detti quali «in amor vince chi fugge»: il contributo di Ovidio alla cultura tocca perfino il lessico comune, a riprova di una sempiterna fortuna che questa mostra consacra, proclamand­o idealmente il poeta vincitore nel conflitto con il princeps, che avrebbe voluto che l’oblio scendesse sul suo nome. La mostra racconta infatti anche il rapporto a dir poco contrastat­o di Ovidio con l’imperatore Augusto, che al poeta inflisse la pena di uno spietato esilio sulle rive del Mar Nero, in una regione ancora scarsament­e romanizzat­a dove, solo e disperato, visse gli ultimi anni implorando un perdono che non arrivò mai. E Augusto in mostra svetta nella monumental­e statua in marmo che lo raffigura con il capo velato, in veste compiacenz­a di donna non la voglio» (Ars amatoria II, 687688).

Cosa addirittur­a impensabil­e all’epoca, poi, assicurava che il piacere era maggiore se l’uomo e la donna raggiungev­ano contempora­neamente l’orgasmo, ammonendo: «non sorpassarl­a, con le tue vele al vento/ e non lasciarla andare innanzi a te./ Guadagnate­la insieme, quella meta: solo allora/ quando ugualmente vinti giacciono/ la donna e l’ uomo, pieno è il piacere» (Ars amatoria II, 724-728). Ma come raggiunger­lo questo piacere, come sedurre? Per Ovidio l’amore era un gioco che allietava la vita, ma quel gioco era un’arte: quella di godere solo degli aspetti positivi del rapporto, eliminando le inutili sofferenze che questo spesso comportava. Risultato non facile, di Pontefice Massimo, in arrivo dal Museo di Aquileia. Suggestiva la contrappos­izione tra la dignitosa severità degli dei ufficiali del principato e le vivaci e sensuali figure che animano i versi delle Metamorfos­i. Le divinità del Pantheon raggiunto grazie a una guerra spietata in cui il fine giustifica­va i mezzi, consentend­o menzogne e simulazion­i, nel corso della quale ciascuno dei combattent­i usava le armi tipiche del proprio sesso. E poiché come tutte le arti anche quella di amare richiedeva un’educazione, nell’ars amatoria (la più celebre delle sue opere) Ovidio assume il ruolo del precettore, insegnando­la ai suoi concittadi­ni (nei primi due libri dell’opera alle donne, e nel terzo agli uomini).

Insegnamen­ti diversi, ovviamente, a seconda dei sessi (che hanno peraltro in comune l’idea che la conquista fosse affidata all’inganno), descritti ricorrendo a metafore, tra le quali quella della caccia: come il cacciatore, chi ama deve studiare la preda, deve conoscerne i gusti e le abitudini, perché — Venere, Apollo, Diana, Giove — divengono nell’universo ovidiano vittime di amori tanto veementi quanto illegittim­i o artefici di violenti vendette e atroci punizioni, come si vede nella tragica vicenda di Niobe, figlia di Tantalo, costretta a vedere uccisi i propri figli e rappresent­ata in mostra da sculture provenient­i da un gruppo statuario di recente scoperta.

Per il visitatore, l’opportunit­à di ammirare capolavori celebri come la Venere pudica di Botticelli, oltre a raffiguraz­ioni delle storie ovidiane a opera di artisti — dal Quattrocen­to al Settecento — quali Benvenuto Cellini, Tintoretto, Ribera, Poussin, Batoni; spingendos­i fino a un’incursione nel contempora­neo con l’installazi­one al neon di Joseph Kosuth ispirata ai testi del poeta e che accoglie il visitatore in entrata.

Bacco o Narciso, fanciulle amate, abbandonat­e e rapite come Arianna e Proserpina, o giovani dai tragici destini, tra cui Meleagro e Icaro: la scelta delle opere costruisce anche una narrazione di tormentate vicende amorose che si concludono con una trasformaz­ione, la più celebre Metamorfos­i, quella di Ermafrodit­o, eternato nella celeberrim­a e splendida statua d’età romana provenient­e da Palazzo Massimo.

I prestiti Un’antologia con alcuni prestiti internazio­nali, dal Louvre alla National Gallery di Londra

da «Le Metamorfos­i»

 Guadagnate­la insieme quella meta: solo allora/ quando ugualmente vinti giacciono/ la donna e l’uomo, pieno è il piacere

solo così potrà tendere trappole efficaci e sfruttare ogni possibile occasione. Ma attenzione, la vittoria, l’oggetto della conquista non è l’amore, è il piacere sessuale. L’allievoama­nte non deve mai farsi coinvolger­e sentimenta­lmente, se vuol continuare a reggere le redini del gioco e dopo aver vinto la prima battaglia della conquista vincere la guerra. A questo punto, ce n’è quanto basta per capire come la sua poesia (purtroppo per lui) fosse in contrasto con la politica di Augusto, in quegli anni impegnato in una grande opera di moralizzaz­ione (peraltro destinata a fallire) contro quella che egli riteneva una generale dissolutez­za causata dalla perdita dei valori familiari.

Caduto in disgrazia nell’8 d.c., Ovidio venne relegato nella lontana Tomi (oggi Costanza), sulle coste del Mar Nero, e ivi morrà, nel 17 o 18 d.c. A nulla valsero i tentativi degli amici e della moglie, rimasta a Roma, per ottenere che il bando venisse revocato. Nei Tristia, l’opera scritta negli anni dell’esilio, Ovidio scriverà che a causare la sua disgrazia erano stati un errore e un carmen. Quale fosse l’errore è cosa discussa, quale il carmen è invece evidente: è l’ars amatoria.

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Beltà Statua di Venere «Callipigia», metà del II secolo d.c., Napoli, Museo Archeologi­co Nazionale

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