Bombino, bluesman del deserto: la mia musica per l’africa
Dici Africa e senti la chitarra di Bombino. Perché pochi artisti come lui sono riusciti a dare un suono al continente nero. «Mi dà orgoglio sollevarli da qualche difficoltà attraverso la musica. Mi piacerebbe che i nostri giovani si sentissero incoraggiati a fortificare la nostra identità» racconta il Jimi Hendrix del deserto, che torna in Italia giovedì alle OGR di Torino. Bluesman autodidatta, età presunta 38 anni, Bombino è tante cose insieme. Un po’ Hendrix (paragone abusato), un po’ Knopler di cui usa la stessa Stratocaster: «Da piccolo li ascoltavo senza sapere chi fossero: le cassette arrivavano con l’etichetta cancellata». Cresciuto scappando dal Niger, poi dall’algeria e dalla Libia. Oggi amico delle star internazionali: piace a Dan Auerbach dei Black Keys come a Jovanotti con cui ha duettato nel 2015. «Vivo la musica in modo completamente spontaneo: non scrivo neanche la scaletta prima di un concerto». È soprattutto il portavoce di un popolo senza pace come quello dei tuareg. Bombino canta in Tamasheq, la lingua della sua etnia. È nato a cresciuto ad Agadez, che per i migranti africani che sognano l’europa è una tappa obbligata prima di pregare di riuscire ad attraversare il Sahara libico. «Penso che i Paesi che hanno più denaro debbano essere accoglienti con le persone disperate solo per le circostanze in cui sono nati. Sono stato un rifugiato due volte nella mia vita: essere separato dalla tua patria senza la possibilità di tornare è un dolore diverso da qualsiasi altro». Ma Bombino non è un cantante politicizzato: «Mi ispirano il deserto, l’amore per mia moglie e le mie figlie». Poi svela tutto l’orgoglio di poter vivere suonando. Di poter mandare le figlie in buone scuole e aiutare economicamente la famiglia. «Mio padre non ci avrebbe sperato». Cosa invece dovremmo sapere noi della musica africana oggi? «Che ascoltare musica nella notte sotto le stelle del deserto è una delle migliori esperienze che possiamo avere nella vita».