I commercialisti: «La pace fiscale vale il 15%, il resto è un condono»
Non si tratta più solo di terminologia. Chiamarla pace fiscale o condono non è un semplice distinguo di «etica tributaria». In ballo ci sono anche cifre consistenti. Se infatti la pace fiscale si applicasse solo a favore di chi non ha pagato, ma ha dichiarato fedelmente il proprio debito di imposta all’erario, gli importi iscritti a ruolo nelle cartelle esattoriali interessate non supererebbero il 15% del totale. Ad affermarlo è, in una nota, il Consiglio nazionale dei commercialisti. Tutto parte dall’analisi della relazione sull’evasione fiscale e contributiva allegata alla «Nota di Aggiornamento» al Def 2018 che evidenzia chiaramente che «nel periodo 2011-2016 il gap relativo a Irpef da lavoro autonomo, Ires, Iva Irap, locazioni e canone Rai ammonta a circa 86,4 miliardi di euro. Di questi, 13,2 miliardi sono ascrivibili alla componente dovuta a omessi versamenti ed errori nel compilare le dichiarazioni, mentre il gap derivante da omessa dichiarazione ammonta a circa 73,2 miliardi di euro». Insomma, se il gettito previsto da questa operazione è alto, bisognerà coinvolgere anche chi ha evaso con dichiarazione infedele o omessa (che rappresentano l’84,7% dell’evasione). E in questo caso saremmo davanti a un vero e proprio condono. Se invece, come sottolineano i commercialisti, riguarderà solo «chi dichiara e poi non paga» si toccherà soltanto il 15,3% dell’evasione.
I commercialisti fanno notare anche come la traduzione pratica della linea politica «pace fiscale solo per chi non ha pagato, ma ha dichiarato» comporterebbe l’esclusione dalla pace fiscale di tutte le cartelle esattoriali che sono state emesse dall’agenzia delle entrate. In pratica saranno prese in considerazione le cartelle fiscali non sulla base della liquidazione della dichiarazione presentata dal contribuente e dal riscontro della mancata effettuazione dei versamenti dovuti in forza degli importi a debito evidenziati dallo stesso contribuente (che, appunto, dichiara e poi non paga), bensì sulla base di un’attività di accertamento dell’amministrazione finanziaria che, mediante verifiche, ispezioni, accessi o incroci di dati, ha fatto emergere un debito o un maggior debito di imposta che il contribuente non aveva evidenziato, in tutto o in parte, nella propria dichiarazione. «Non vi è dubbio — commenta il presidente nazionale dei commercialisti, Massimo Miani — che un’ipotesi di saldo e stralcio che riguardasse anche gli importi dovuti a titolo di imposta e che si applicasse indistintamente su tutte le cartelle sarebbe un classico condono, ma è d’altro canto evidente che un provvedimento limitato alle sole cartelle emesse sulla base della liquidazione della dichiarazione presentata dal contribuente, con esclusione di quelle emesse a seguito di accertamento di una maggiore imposta da parte dell’amministrazione finanziaria, avrebbe una portata estremamente limitata». Quindi, condono, con un impatto mediatico difficile ma un importante ritorno di cassa o pace fiscale, più etica (mediaticamente) ma meno redditizia? La sensazione è che a vincere sara l’esigenza contabile che «consiglierà» al governo di includere anche gli evasori per omessa o infedele dichiarazione. Semmai il vero dubbio sta nel capire se prevarrà la linea che prevede un forfettario pagamento delle spettanze dovute dagli evasori oppure quella di un pagamento integrale delle spettanze con uno sconto su more e interessi.