L’italia del treno in una serie dai Borbone al boom Anni 50
Severgnini narratore: le ferrovie al centro di eventi storici cruciali
Metafora esistenziale («la vita non è la stazione bensì il treno», Paulo Coelho), sogno futurista e incubo dei no tav (e di molti pendolari), fonte di ispirazione letteraria e musicale. Il treno — «un giovane puledro che appena liberato il freno morde la rotaia con muscoli d’ acciaio» (Guccini) — è un pezzo del nostro immaginario collettivo: ora questa storia lunga 179 anni è al centro della docu-serie in cinque episodi L’italia del treno, che History (Sky, canale 407) propone ogni lunedì alle 21.50 a partire dal 22 ottobre. Ad accompagnare gli spettatori in questo viaggio su rotaia due conduttori: il direttore di 7 Beppe Severgnini e Raffaele di Placido, divulgatore storico-scientifico e autore televisivo.
In principio fu la Napoliportici: è lunga poco più di 7 chilometri e viene inaugurata il 3 ottobre 1839 da Re Ferdinando II, «a dimostrazione che quando volevano i Borbone sapevano anche essere lungimiranti», riflette Severgnini. La svolta ferroviaria di un Paese non ancora nato arriva quando i Savoia decidono di fare l’unità d’italia: da allora il treno diventa un protagonista indiscusso del paesaggio e della vita degli italiani, modificandone usi e costumi, riducendo le distanze e allargando le relazioni.
«Le ferrovie sono al centro di eventi cruciali per il nostro Paese — spiega ancora Severgnini —. È il treno ad accompagnare le truppe al fronte durante la Prima Guerra mondiale su quella locomotiva che chiamavano “la signorina” per le sue linee eleganti e perché sculettava entrando in curva. Fu il treno a riportare la salma del milite ignoto a Roma; Mussolini “marciò” su Roma usando il treno, mentre Hitler visitò il nostro Paese rimanendo praticamente sempre sul treno per motivi di sicurezza». Le rotaie accompagnano non solo la guerra, ma anche il boom economico tra gli anni ‘50 e ‘60, portando gli italiani in vacanza e gli emigrati dal Sud alle città del Nord.
Ora però c’è chi discute l’alta Velocità: «E sbaglia, perché l’alta Velocità è stata la dimostrazione che l’italia che vuole diventare contemporanea passa di lì. La Tav aiuta tutti, non solo i professionisti che viaggiano in prima classe, è il segno di come il progresso tecnologico porta cambiamenti positivi». Il paradosso è che si viaggia meglio su distanze lunghe che su percorsi brevi, le odissee quotidiane di molti pendolari sono lì a dimostrarlo: «Le ferrovie dovrebbero migliorare i servizi, non per romanticismo o carità, ma perché è un business pazzesco. Io viaggio da Crema a Milano, ci fosse un treno come si deve lascerei a casa la macchina. In Italia ci sono tre città che vivono per motivi diversi una situazione di isolamento assurdo per il secondo millennio: Mantova, Siena e Perugia».
Severgnini ha girato il mondo in treno. Il viaggio più bello? «La Transiberiana nel 1986, era il mio viaggio di nozze. Ma anche un Mosca-lisbona, seimila chilometri che fanno capire a chi non lo capisce il senso dell’europa unita». Il viaggio peggiore, manco a dirlo, un Crema-milano: «Con l’alta Velocità sarei arrivato prima a Napoli. E pensare che sono solo 40 chilometri. Di pianura. Paradigma di quando in Italia non si vogliono fare le cose».
America e Inghilterra hanno una grande tradizione ferroviaria: «Sono Paesi che hanno una mentalità avventurosa, quando vedono il cartello Trump o Brexit partono... Ma questo coraggio è innato nella loro psicologia nazionale, sarebbe bello che anche l’italia lo avesse. Invito Toninelli a vedere a casa mia questa docuserie per fargli capire che il progresso è anche una cosa bella. E lo prometto: nessun plastico».
Il principio
Il primo collegamento fu la Napoli-portici inaugurata il 3 ottobre 1839 da Ferdinando II