Corriere della Sera

La scommessa? È durare fino alle Europee

Dopo il voto di maggio l’idea di rivendicar­e un commissari­o Ue Già da una settimana Casaleggio aveva lanciato l’allarme sanatoria

- di Francesco Verderami

Forse anche al governo servirebbe la Var, come nel calcio. Per rivedere le azioni incriminat­e ed evitare clamorose figuracce.

L’introduzio­ne della Var in Consiglio dei ministri potrebbe tornar utile al governo per rivedere in tempo reale le azioni incriminat­e ed evitare clamorose figuracce. Ma se la moviola fosse stata già operativa nella riunione sul decreto fiscale, Di Maio non avrebbe potuto dire ciò che poi ha detto, allungando l’ombra del sospetto sulla Lega e in particolar­e su Giorgetti. Le immagini mostrerebb­ero infatti il sottosegre­tario alla presidenza che abbandona il salone, mandando rumorosame­nte a farsi benedire Conte, Fraccaro e lo stesso Di Maio, siccome il premier e i ministri grillini gli avevano appena bocciato una norma a favore delle società sportive dilettanti­stiche, a cui voleva consentire una «pace fiscale» entro i trentamila euro.

Ora, com’è possibile che i Cinque Stelle si siano impuntati sugli spiccioli, e abbiano lasciato passare uno scudo milionario? Anche perché — come ha rivelato ieri il vice ministro leghista Garavaglia — dopo che Giorgetti se n’è andato «è stato Di Maio a verbalizza­re la seduta». Un modo vendicativ­o per sottolinea­re che il capo di M5S non poteva non sapere. D’altronde persino Casaleggio sapeva, e fin dalla scorsa settimana, che il decreto fiscale stava per trasformar­si in un’insostenib­ile tassa politica, per di più alla vigilia della kermesse nazionale del Movimento. Non a caso, durante l’ultima riunione interna, Buffagni si era esposto, mettendo tutti sull’avviso: «Non aspetterò di farmi spiegare dai giornali che noi abbiamo approvato un condono».

Profetico, e senza dover ricorrere alla Var, il sottosegre­tario grillino aveva di fatto anticipato ciò che oggi è manifesto: e cioè che la quadratura del cerchio per Di Maio e Salvini è un problema irrisolvib­ile. Per quanto i loro rapporti personali siano ottimi, si trovano costretti a fronteggia­re un nodo politico che ha aperto la prima vera faglia nell’asse giallo-verde.

La prossima promette di essere ancor più insidiosa, ma a parti rovesciate. Perché la delegazion­e leghista al governo già freme in vista del reddito di cittadinan­za: l’idea che il provvedime­nto possa essere esteso anche agli immigrati, è considerat­a «inaccettab­ile»: «Per noi — spiega un autorevole ministro del Carroccio — sarebbe impossibil­e votarlo». E se oggi appare inimmagina­bile una crisi sul condono, nonostante la regia mediatica preveda l’innalzamen­to della tensione nel governo fino alla convention dei Cinque Stelle nel fine settimana, resta da capire per quanto tempo i due vicepremie­r riuscirann­o a trovare un compromess­o.

Su questo tema il leader della Lega è chiaro con il suo stato maggiore: «Bisogna tirare in lungo, anche perché non otterremmo le elezioni anticipate. Fuori noi, altri farebbero dell’altro». Salvini non deve dare un nome ai protagonis­ti della presunta manovra di Palazzo. Gli indizi raccolti dai leghisti conducono al presidente della Camera Fico, «che ci sta lavorando», e arrivano fino «al Quirinale e all’establishm­ent europeo»: «Perché siamo noi a essere temuti a Roma come a Bruxelles, non i Cinque Stelle». La scorsa settimana i vertici della Lega hanno fatto un’analisi sullo stato di salute del governo, e l’attacco di Di Maio sul decreto fiscale ha avvalorato la tesi secondo cui il capo di M5S «non reggerà ancora per molto» e il Movimento sarà «destinato a spaccarsi».

Il sismografo della situazione è sempre Giorgetti, che ieri ha riservato più di un epiteto verso gli alleati e verso il premier, colpevole ai suoi occhi (tra le altre mille cose) di non averlo difeso dalle accuse grilline. Peraltro la sparata di Di Maio è parsa la «scopiazzat­ura» di una vecchia tattica già adottata dal Carroccio. Nel ’94, all’epoca del primo governo Berlusconi, Maroni si comportò più o meno allo stesso modo per mandare a picco il decreto Biondi sulla giustizia, appena approvato in Consiglio dei ministri: «Non avevo letto il testo», disse l’allora titolare dell’interno per conto di Bossi. E il provvedime­nto, caro al Cavaliere, saltò. Di lì a qualche mese sarebbe saltato anche il governo.

Nonostante Salvini giuri che l’esecutivo «durerà cinque anni», l’importante è che duri quantomeno fino alle Europee. Deve essere ancora a Palazzo Chigi infatti per poter realizzare il suo disegno: superare i grillini nelle urne e poter così rivendicar­e il futuro commissari­o italiano a Bruxelles. L’ingresso nel sancta sanctorum dell’unione avrebbe un forte impatto anche a livello nazionale. Perciò il governo non dovrà cadere fino ad allora: perché tutte le strade portano a Roma...

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A Bolzano Il vicepremie­r e ministro dell’interno Matteo Salvini, 45 anni, ieri in strada con i suoi sostenitor­i: «Invito la maggioranz­a a non litigare perché già ci attaccano dall’europa e da tutte le parti. Dobbiamo marciare compatti», ha detto il leader della Lega

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