Se la mafia appare un male superato
La mafia è ovunque, ma per la gente è considerata un male superato.
«La corruzione dilaga». «Esagerato!», dirà qualcuno. Ma a lanciare l’allarme non è un santone millenarista pazzo per l’apocalisse. È il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho. Che rincara e prende di petto la politica: «È distratta, sulla mafia».
Parole pesanti come incudini. Fastidiosissime per i «distratti». E pesate una a una alla presentazione ieri mattina del rapporto «La ricerca sulla percezione e la presenza di mafie e corruzione» voluto da Luigi Ciotti, edito dal Gruppo Abele e curato da Francesca Rispoli con la prefazione di Nando Dalla Chiesa. Un dossier costruito attraverso 10.343 questionari raccolti in particolare nel Sud e 100 interviste mirate nel mondo del lavoro: da Confindustria a Confapi, da Coldiretti a Confcommercio da Confagricoltura a Confartigianato...
Un campione di varia umanità culturale, professionale, geografica e imprenditoriale dove la politica emerge come «altra rispetto al proprio vissuto quotidiano». Per capirci: «Soltanto l’11,8% dei rispondenti si ritiene politicamente impegnato, mentre il 53% dice di tenersi informato ma senza partecipare. Il restante 34% si divide tra coloro che dichiarano che la politica va lasciata a chi ne ha le competenze, che la politica non gli interessa o che genera disgusto». Un dato che tra i giovani schizza al 53%.
Obiettivo della ricerca che per mesi sarà portata in duecento tappe in giro per l’italia fino a un approdo finale a Padova? «Uno stimolo a tenere gli occhi aperti e le coscienze sveglie», risponde don Luigi Ciotti, «per mettere a fuoco temi centrali: la sottovalutazione della pericolosità mafiosa, l’equazione ormai fuorviante tra mafia e fatti di sangue, la sopravvivenza, entro certi contesti e limiti, del pregiudizio delle mafie come fenomeno tipico del Sud». Il grande rischio, spiega il prete fondatore di Libera, è quello di «normalizzare la questione mafiosa, di considerare le mafie come un male in parte superato e in parte ineluttabile, come è stato fatto in altre stagioni con la droga, con l’aids e con altri problemi sociali...» Peggio: non capire «l’importanza di politiche che contrastino le disuguaglianze, le povertà, la dispersione scolastica e l’analfabetismo funzionale».
Risultati del dossier? «Spaventosi», dice il presidente dell’anac Raffaele Cantone. A colpirlo di più, racconta seduto tra don Ciotti e Gian Carlo Caselli, è il fatto che «solo il 20% dei cittadini creda che sia importante votare cittadini onesti come candidati politici» per combattere la corruzione: «Un segnale di sfiducia inquietante. C’è un rapporto diretto tra sfiducia e corruzione. Tanto più c’è sfiducia, tanto più le persone provano a trovare vie traverse». Soprattutto nel Mezzogiorno: «C’è una sfiducia nelle istituzioni meridionali che è paurosa. Basti fare un confronto tra aree geografiche diverse: il massimo della sfiducia passa dal 10% al Nord Est al 40% al Sud».
Sconcertanti, in particolare, alcune tabelle. Certo, il 74,9% degli italiani sentiti dalla ricerca, nonostante il 7,8% pensi che «la mafia è oggi solo letteratura» e che occorra «parlare di tante forme di criminalità» lo sa: la presenza delle mafie ormai è globale. Il 38% ne è perfettamente consapevole: «La mafia dove abito io è un fenomeno preoccupante e la sua presenza è socialmente pericolosa». Il 22,6, però, dice che dove abita lui «è un fenomeno preoccupante ma non socialmente pericoloso». Un altro 29,1 sostiene che nel suo territorio sia «un fenomeno marginale».
Insomma, riassume il dossier, «c’è ancora difficoltà ad assumere le mafie come questione nazionale. Questa resistenza risulta preoccupante perché proviene dalle regioni che determinano l’andamento dell’economia nazionale. Ciò dovrebbe indurre a riflettere su un aspetto più generale che ha favorito il radicamento della criminalità mafiosa nel Nord: dal punto di vista economico le mafie non esistono, o meglio per inesperienza o ancora peggio per convenienza sono accettate come operatori del mercato soprattutto in contesti in cui possono movimentare flussi finanziari e garantire controllo della manodopera a prezzi competitivi. L’assenza di violenza omicida ha consentito alle mafie, perciò, di nascondersi dietro la circolazione del denaro». Niente sangue, niente allarme: i boss si sono fatti accorti... Mafia? Corruzione? Dove?
L’opinione di Federico Cafiero De Raho, dicevamo, è radicalmente diversa: «Siamo in un Paese in cui la corruzione dilaga e le mafie esercitano un controllo pesante sull’economia e la politica. Ma non c’è grande attenzione da parte della politica, non sento parlare della necessità di contrastare i due fenomeni». Anzi, pare quasi che non siano poi temi così importanti. Al punto che «sembra che siano settori di competenza solo dell’anac, della Dna, delle Dda e di alcune associazioni come appunto Libera. Non sento parlare della necessità di contrastare mafie e corruzione. La politica postpone questi problemi a tanti altri...» E ciò nonostante «anche Bankitalia abbia detto che la zavorra economica del nostro Paese è la mafia».
Quanto alla mazzetta, si legge nel dossier Liberaidee, gli italiani che la percepiscono come «molto o abbastanza diffusa» nella loro regione sono oltre il 70% «ma a colpire è soprattutto la diversificazione territoriale: quasi il 90% degli intervistati del Sud ha una visione pessimistica». Una percentuale disperante. Che conferma,
Alle urne
Solo il 20 per cento degli intervistati ritiene sia importante votare cittadini onesti
La tendenza
Don Ciotti: «Oggi la malavita organizzata è considerata un male superato, come l’aids»
spiega Alberto Vannucci, autore dell’«atlante della corruzione», un sondaggio del 2017 di Eurobarometro.
Ancora più nero il quadro delle reazioni alla corruzione: «Chi potrebbe o dovrebbe denunciarla ha paura delle conseguenze». Nell’80% dei casi «o ritiene corrotti anche gli interlocutori cui dovrebbe presentare la denuncia (36%), o pensa che non succederebbe nulla (32%) o ritiene la corruzione un fatto normale (23%)». Tutti numeri che Cantone, come dicevamo, giudica amaro «spaventosi»: «Molti pensano che le regole siano un impedimento, una scocciatura e che bisogna lavorare senza lacci e laccioli... Parti da lì e poi...».
Tra le note di consolazione, i sondaggi sulle fonti di informazione: «Dai risultati emerge che il giornalismo d’inchiesta (20,5%) è il mezzo più adeguato per conoscere i fenomeni mafiosi, seguito dalla televisione (18,3%), dal cinema (16,3%) e dalle lezioni nelle aule scolastiche e universitarie (14,9%). Solo il 6,4% usa Internet per conoscere meglio il fenomeno mafioso, percentuale che scende al 4,3% riferendosi ai social network». Almeno sulle cose più serie è meglio stare alla larga...