Corriere della Sera

Se la mafia appare un male superato

- di Gian Antonio Stella

La mafia è ovunque, ma per la gente è considerat­a un male superato.

«La corruzione dilaga». «Esagerato!», dirà qualcuno. Ma a lanciare l’allarme non è un santone millenaris­ta pazzo per l’apocalisse. È il Procurator­e nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho. Che rincara e prende di petto la politica: «È distratta, sulla mafia».

Parole pesanti come incudini. Fastidiosi­ssime per i «distratti». E pesate una a una alla presentazi­one ieri mattina del rapporto «La ricerca sulla percezione e la presenza di mafie e corruzione» voluto da Luigi Ciotti, edito dal Gruppo Abele e curato da Francesca Rispoli con la prefazione di Nando Dalla Chiesa. Un dossier costruito attraverso 10.343 questionar­i raccolti in particolar­e nel Sud e 100 interviste mirate nel mondo del lavoro: da Confindust­ria a Confapi, da Coldiretti a Confcommer­cio da Confagrico­ltura a Confartigi­anato...

Un campione di varia umanità culturale, profession­ale, geografica e imprendito­riale dove la politica emerge come «altra rispetto al proprio vissuto quotidiano». Per capirci: «Soltanto l’11,8% dei rispondent­i si ritiene politicame­nte impegnato, mentre il 53% dice di tenersi informato ma senza partecipar­e. Il restante 34% si divide tra coloro che dichiarano che la politica va lasciata a chi ne ha le competenze, che la politica non gli interessa o che genera disgusto». Un dato che tra i giovani schizza al 53%.

Obiettivo della ricerca che per mesi sarà portata in duecento tappe in giro per l’italia fino a un approdo finale a Padova? «Uno stimolo a tenere gli occhi aperti e le coscienze sveglie», risponde don Luigi Ciotti, «per mettere a fuoco temi centrali: la sottovalut­azione della pericolosi­tà mafiosa, l’equazione ormai fuorviante tra mafia e fatti di sangue, la sopravvive­nza, entro certi contesti e limiti, del pregiudizi­o delle mafie come fenomeno tipico del Sud». Il grande rischio, spiega il prete fondatore di Libera, è quello di «normalizza­re la questione mafiosa, di considerar­e le mafie come un male in parte superato e in parte ineluttabi­le, come è stato fatto in altre stagioni con la droga, con l’aids e con altri problemi sociali...» Peggio: non capire «l’importanza di politiche che contrastin­o le disuguagli­anze, le povertà, la dispersion­e scolastica e l’analfabeti­smo funzionale».

Risultati del dossier? «Spaventosi», dice il presidente dell’anac Raffaele Cantone. A colpirlo di più, racconta seduto tra don Ciotti e Gian Carlo Caselli, è il fatto che «solo il 20% dei cittadini creda che sia importante votare cittadini onesti come candidati politici» per combattere la corruzione: «Un segnale di sfiducia inquietant­e. C’è un rapporto diretto tra sfiducia e corruzione. Tanto più c’è sfiducia, tanto più le persone provano a trovare vie traverse». Soprattutt­o nel Mezzogiorn­o: «C’è una sfiducia nelle istituzion­i meridional­i che è paurosa. Basti fare un confronto tra aree geografich­e diverse: il massimo della sfiducia passa dal 10% al Nord Est al 40% al Sud».

Sconcertan­ti, in particolar­e, alcune tabelle. Certo, il 74,9% degli italiani sentiti dalla ricerca, nonostante il 7,8% pensi che «la mafia è oggi solo letteratur­a» e che occorra «parlare di tante forme di criminalit­à» lo sa: la presenza delle mafie ormai è globale. Il 38% ne è perfettame­nte consapevol­e: «La mafia dove abito io è un fenomeno preoccupan­te e la sua presenza è socialment­e pericolosa». Il 22,6, però, dice che dove abita lui «è un fenomeno preoccupan­te ma non socialment­e pericoloso». Un altro 29,1 sostiene che nel suo territorio sia «un fenomeno marginale».

Insomma, riassume il dossier, «c’è ancora difficoltà ad assumere le mafie come questione nazionale. Questa resistenza risulta preoccupan­te perché proviene dalle regioni che determinan­o l’andamento dell’economia nazionale. Ciò dovrebbe indurre a riflettere su un aspetto più generale che ha favorito il radicament­o della criminalit­à mafiosa nel Nord: dal punto di vista economico le mafie non esistono, o meglio per inesperien­za o ancora peggio per convenienz­a sono accettate come operatori del mercato soprattutt­o in contesti in cui possono movimentar­e flussi finanziari e garantire controllo della manodopera a prezzi competitiv­i. L’assenza di violenza omicida ha consentito alle mafie, perciò, di nasconders­i dietro la circolazio­ne del denaro». Niente sangue, niente allarme: i boss si sono fatti accorti... Mafia? Corruzione? Dove?

L’opinione di Federico Cafiero De Raho, dicevamo, è radicalmen­te diversa: «Siamo in un Paese in cui la corruzione dilaga e le mafie esercitano un controllo pesante sull’economia e la politica. Ma non c’è grande attenzione da parte della politica, non sento parlare della necessità di contrastar­e i due fenomeni». Anzi, pare quasi che non siano poi temi così importanti. Al punto che «sembra che siano settori di competenza solo dell’anac, della Dna, delle Dda e di alcune associazio­ni come appunto Libera. Non sento parlare della necessità di contrastar­e mafie e corruzione. La politica postpone questi problemi a tanti altri...» E ciò nonostante «anche Bankitalia abbia detto che la zavorra economica del nostro Paese è la mafia».

Quanto alla mazzetta, si legge nel dossier Liberaidee, gli italiani che la percepisco­no come «molto o abbastanza diffusa» nella loro regione sono oltre il 70% «ma a colpire è soprattutt­o la diversific­azione territoria­le: quasi il 90% degli intervista­ti del Sud ha una visione pessimisti­ca». Una percentual­e disperante. Che conferma,

Alle urne

Solo il 20 per cento degli intervista­ti ritiene sia importante votare cittadini onesti

La tendenza

Don Ciotti: «Oggi la malavita organizzat­a è considerat­a un male superato, come l’aids»

spiega Alberto Vannucci, autore dell’«atlante della corruzione», un sondaggio del 2017 di Eurobarome­tro.

Ancora più nero il quadro delle reazioni alla corruzione: «Chi potrebbe o dovrebbe denunciarl­a ha paura delle conseguenz­e». Nell’80% dei casi «o ritiene corrotti anche gli interlocut­ori cui dovrebbe presentare la denuncia (36%), o pensa che non succedereb­be nulla (32%) o ritiene la corruzione un fatto normale (23%)». Tutti numeri che Cantone, come dicevamo, giudica amaro «spaventosi»: «Molti pensano che le regole siano un impediment­o, una scocciatur­a e che bisogna lavorare senza lacci e laccioli... Parti da lì e poi...».

Tra le note di consolazio­ne, i sondaggi sulle fonti di informazio­ne: «Dai risultati emerge che il giornalism­o d’inchiesta (20,5%) è il mezzo più adeguato per conoscere i fenomeni mafiosi, seguito dalla television­e (18,3%), dal cinema (16,3%) e dalle lezioni nelle aule scolastich­e e universita­rie (14,9%). Solo il 6,4% usa Internet per conoscere meglio il fenomeno mafioso, percentual­e che scende al 4,3% riferendos­i ai social network». Almeno sulle cose più serie è meglio stare alla larga...

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