Caos tra i 5 Stelle, l’affondo di Fico Il capo prova a frenare: niente crisi
Malumori anti leghisti. La telefonata di Grillo a Di Maio. E c’è chi accusa un tecnico di Tria
ROMA Per il deputato Davide Tripiedi, non è possibile che Luigi Di Maio abbia portato «una porcheria del genere in consiglio dei ministri» perché «ha una profonda bontà d’animo». Non essendo verificabili le qualità morali del vicepremier, restano diverse cose da chiarire nella crisi che ha investito il governo, portando Di Maio a denunciare il sabotaggio nella terza Camera di Porta a Porta.
Non tutti, dentro il Movimento, condividono la versione buonista di Tripiedi e si chiedono se non ci sia stata un’omissione di controllo. Ed è già partita la caccia al colpevole. Ma tra i maggiorenti, nella consueta ricerca di un capro espiatorio, si punta il dito soprattutto fuori, in tre direzioni diverse e convergenti: contro l’ennesimo tecnico sabotatore del ministero, Glauco Zaccardi; contro la «distrazione» del ministro Giovanni Tria; e contro le divisioni leghiste, con Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia che «spadroneggiano all’insaputa di Salvini». Nel frattempo Roberto Fico attacca, durissimo: «Il condono non è nel contratto. Comunque il Movimento non capirebbe. E farebbe bene a non capire: è giusto chiedere un chiarimento politico, che è urgente». Chiarimento sì, ma tenendo in piedi la baracca, fa sapere ai suoi Luigi Di Maio: «Non si farà certo una crisi di governo per un condono».
Non si farà, forse, ma l’allarme sarebbe scattato dall’alto. Anzi, dall’altissimo, perché a innescare la reazione furibonda di Di Maio, con annunci tv di denunce (poi non fatte), sarebbe stato Beppe Grillo in persona, con una telefonata preoccupata al vicepremier. Legittime preoccupazioni, anche perché il gruppo parlamentare è in agitazione e perché si avvicina un appuntamento clou per il Movimento, ovvero la grande manifestazione del Circo Massimo di sabato e domenica. Come si può pensare di presentarsi di fronte alla base con un condono appena ingoiato? Non si può, infatti.
La ricostruzione del Movimento comincia dalla fine del consiglio dei ministri. In quella sede sarebbe arrivato un documento non dettagliato, una sorta di bozza ancora generica. Passata poi agli uffici per la stesura definitiva. È qui che si colloca il passaggio chiave. A stendere materialmente il decreto, è il capo del legislativo del Mef, Glauco Zaccardi. Dopo Roberto Garofoli, capo di gabinetto del Mef, e il ragioniere dello Stato Daniele Franco,
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Il condono non è nel contratto Comunque il Movimento non capirebbe e farebbe bene a non capire È giusto chiedere un chiarimento politico, che è urgente
Test d’accesso Nel comunicato di Palazzo Chigi dopo il Consiglio del 15 ottobre che ha varato decreto fiscale e manovra c’è l’abolizione del test d’accesso a Medicina. Bussetti, ministro leghista dell’istruzione, non ne sa niente e il governo precisa: «Non subito»
sta decisamente superando il numero del consentito, anche per un dilettante.
I Cinquestelle giurano che, in merito alla ricostruzione del Ponte Morandi, «Autostrade non toccherà una pietra»? Spunta un emendamento che rimette in gioco la società. E che dire del decreto su Genova, annunciato, poi approvato, poi scomparso, riapparso, riscomparso e poi definitivamente apparso, con un commissario straordinario da nominare in poche ore, poi in pochi giorni, quindi in poche settimane e alla fine in più di un mese? Un film simile s’era visto — trasformando il triangolo Palazzo Chigi-ministero della Salute-parlamento in una specie di Triangolo delle Bermude — col provvedimento sui vaccini a scuola, con «discrezionalità» e «obbligatorietà» del vaccino che per giorni si alternano come le targhe pari e dispari nei giorni delle ordinanze antismog, e il ministro Giulia Grillo a barcamenarsi tra la sua laurea in medicina, gli elettori no vax e il contratto di governo. E quando il dilettantismo supera la sfera dell’immaginabile ecco che si materializza l’abolizione del numero chiuso per la Facoltà di Medicina. A Palazzo Chigi lo annunciano, al ministro dell’istruzione «non risulta», a Palazzo Chigi sbianchettano. Il numero chiuso per ora rimane, domani però forse lo aboliscono, o forse no. Una montagna in grado di ridurre al rango di topolino le mancate promesse dell’alleato di governo, come quelle accise sulla benzina che Salvini diceva di voler togliere al primo consiglio dei ministri utile.
Certo, a parziale, parzialissima giustificazione di cotante sviste si può sempre, come ha fatto Di Maio, ricorrere alla teoria della «manina» che cambia il compito subito dopo la consegna. E il pensiero corre a quel personaggio di Verdone in Un Sacco Bello, che nel raccontare al compagno di viaggio le sue gesta da latin lover durante un concerto dei Genesis gli diceva che «a un certo punto mi sento avanzare come una mano». «E cos’è era?», domandava l’altro. «Una mano era».