Corriere della Sera

Corsa dello spread, timore del contagio

- di Federico Fubini

Anche in confronto alle tensioni alle quali l’italia è abituata da mesi, quella di ieri non è stata una giornata come le altre. Una soglia dopo l’altra, le linee di resistenza continuano a cadere. Per la prima volta dopo cinque mesi, quasi che il mercato tema per l’integrità dell’area euro, ieri sono iniziati a emergere chiari sintomi di contagio finanziari­o dal debito pubblico italiano anche verso economie di solito più stabili come Spagna e Portogallo. E per la prima volta sotto l’attuale governo, il prezzo del rischio percepito sui Btp è uscito dai binari pur già molto rischiosi lungo quali il Paese era corso nelle ultime settimane: fuori dalle vecchie guide, adesso la scivolata dei prezzi potrebbe proseguire più in fretta.

Dalle tre di ieri pomeriggio, il rendimento dei titoli di Stato italiani a dieci anni è iniziato a salire più bruscament­e di prima fino a raggiunger­e il 3,73%: di oltre il doppio sopra ai livelli di prima che l’attuale governo si mettesse al lavoro. L’aumento di questo premio di rischio non ha solo conseguenz­e sul costo più alto che i contribuen­ti dovranno sopportare in interessi sul debito, ma danneggia direttamen­te anche imprese e famiglie: fa salire il costo di finanziame­nto anche per gli istituti e ne erode il patrimonio, dato il peso dei titoli pubblici, ormai svalutati, nei loro bilanci. Si prepara dunque una stretta al credito, che a sua volta non può che ridurre investimen­ti e creazione di posti di lavoro.

Ciò che colpisce dello strappo di ieri è l’assenza di nuove informazio­ni sul deficit, sul debito o sull’economia italiana. Il mercato ormai risponde a segnali puramente politici. Fra i governi europei così come fra gli investitor­i nazionali ed esteri, l’italia sembra circondata ormai da una sfiducia sempre più complessiv­a. Pesa la percezione del caos nel processo decisional­e di Roma, dove un vicepremie­r come Luigi Di Maio minaccia di portare in Procura la propria stessa legge di bilancio dopo mesi di deliberazi­oni nel governo. Pesa anche lo stato di guerra psicologic­a con chiunque in Europa — e ormai sono tutti, inclusi i presunti alleati politici — critichi la politica economica dell’italia. Pesa anche l’impression­e beffarda fra gli operatori di mercato che il governo non comprenda le dinamiche del debito; quando il vicepremie­r Matteo Salvini e il ministro degli Affari europei Paolo Savona hanno dichiarato che avrebbero reagito se lo spread fra Italia e Germania fosse arrivato a 400 punti (ieri fino a 327), gli investitor­i hanno tratto una conclusion­e: per altri 70 punti di spread possono continuare a puntare contro l’italia senza paura di bruciarsi le mani. Le stesse frasi di Savona e Salvini hanno offerto agli speculator­i al ribasso un obiettivo da inseguire.

Ieri ha pesato però anche l’attesa per un evento specifico: forse già stasera o al più tardi venerdì prossimo, l’agenzia di rating Moody’s scioglierà la sua riserva sull’italia. Ha già indicato «prospettiv­e negative» e, malgrado l’auspicio del premier Giuseppe

Le decisioni La sfiducia dei mercati è alimentata dalle divisioni mostrate dall’esecutivo

Quota 400 punti Esponenti del governo non escludono che lo spread possa arrivare a 400 punti

Conte ieri, sembra inevitabil­e il declassame­nto di un grado nel giudizio sulla tenuta del debito. Nelle scorse settimane i vertici del Tesoro hanno lavorato per convincere gli analisti di Moody’s a non declassare di due livelli, ricordando forte surplus con l’estero che il settore privato assicura per l’italia. Probabilme­nte il doppio declassame­nto verrà evitato, ma Moody’s potrebbe comunque rimettere «prospettiv­e negative» al debito anche dopo il taglio di un grado nel giudizio. Lo stesso, in vista di un declassame­nto, potrebbe fare anche S&P fra una settimana. Per le agenzie di rating conta molto la percezione che l’intero processo di governo dell’economia in Italia sia privo di rotta.

Eppure proprio queste agenzie stanno diventando terribilme­nte importanti. Per Moody’s, S&P e Fitch l’italia è a soli due scalini dal voto «non investimen­to» (o «spazzatura») e indici enormi come il Ftse Russell World Government Index (800 miliardi di dollari) o il Bloomberg/ Barclays euro aggregate (2.500 miliardi) di fatto non possono più tenere l’italia in portafogli­o se due agenzie di rating la declassass­ero a «non investimen­to». Secondo Goldman Sachs, ciò inneschere­bbe vendite forzate di debito italiano per oltre cento miliardi di euro. E le soglie alle quali ciò può avvenire non sono davvero lontane.

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