Gli Usa disertano il forum di Riad: 72 ore per indagare su Khashoggi
Trump ammette: è morto. Foto mostra uno 007 del principe saudita in consolato
L’articolo postumo Il mondo arabo è isolato da una cortina di ferro simile a quella in Europa durante la Guerra fredda Jamal Khashoggi
WASHINGTON «Abbiamo informazioni di intelligence che arrivano da tutte le parti. A meno di un miracolo, dobbiamo riconoscere che Jamal Khashoggi è morto». Donald Trump conversa con il New York Times subito dopo aver ascoltato il resoconto del Segretario di Stato, Mike Pompeo, di ritorno da un viaggio lampo in Arabia Saudita e Turchia. «È una brutta, brutta cosa, le conseguenze dovrebbero essere severe», aggiunge il presidente. Ma la reazione degli Stati Uniti resta fluida. Non c’è ancora una chiara attribuzione di responsabilità per il quasi sicuro assassinio del giornalista, scomparso il 2 ottobre scorso nel consolato saudita a Istanbul.
Certo, il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin fa sapere che non parteciperà al forum economico-finanziario, «la Davos del deserto», in programma la prossima settimana a Riad. E non ci sarà neanche Fox, il canale più vicino a Trump. Nello stesso tempo, però, Pompeo, predica cautela, ricordando «il legame strategico» con l’arabia Saudita. In concreto: petrolio, fornitura di armi, alleanza anti-iran. Il segretario di Stato prende tempo: «Ho chiesto al presidente di concedere alcuni giorni in più (tre secondo indiscrezioni, ndr) alle autorità saudite per completare le indagini».
La polizia turca, intanto, continua a far filtrare particolari sempre più raccapriccianti: registrazioni audio e video dimostrerebbero che Khashoggi, 59 anni, saudita, residente in Virginia, giornalista collaboratore del Washington Post, sia stato smembrato, forse prima ancora di essere ucciso. Gli investigatori stanno setacciando la Belgrad Ormani (la Foresta di Belgrado) e i terreni agricoli nella provincia di Yalova, allargando il raggio delle indagini a 30-70 chilometri da Istanbul. L’ipotesi è che il commando saudita, a quanto pare composto da 15 elementi, abbia occultato il cadavere lontano dalla sede diplomatica. Un piano criminale oggettivamente rischioso e, probabilmente, improvvisato sul momento.
Le telecamere a circuito chiuso hanno ripreso uno dei sospettati, Maher Abdulaziz Mutreb, ritenuto un agente dei servizi segreti sauditi al seguito del principe ereditario Mohammed bin Salman. Le immagini mostrano, tra l’altro, Mutreb fuori dal consolato, proprio nel giorno in cui sparì Khashoggi. Ieri il Washington Post ha pubblicato l’ultimo articolo scritto dal dissidente saudita. Si intitola: «Ciò di cui ha più bisogno il mondo arabo: libertà di espressione». Khashoggi descrive la stretta autoritaria nel Medio Oriente, seguita al fallimento delle Primavere arabe. Ovunque tranne che in Tunisia: «Il mondo arabo è isolato da una cortina di ferro simile a quella imposta all’europa nel corso della guerra fredda. A quei tempi Radio Free Europe giocò un ruolo importante per alimentare la speranza di libertà. Gli arabi oggi hanno bisogno di qualcosa di simile». Una piattaforma trasversale, dunque, naturalmente sul web, per mettere in rete le cellule dissidenti in Arabia Saudita e non solo.