Corriere della Sera

AF GHA NI Stremato da una guerra senza fine il Paese domani torna alle urne Ma la democrazia all’occidental­e non ha ridotto violenza e disparità da Donald Trump. La Russia prova ovunque a erodere

- Di Andrea Nicastro

R icordate le dita sporche di inchiostro viola? Le code ai seggi elettorali? Le ombre dei burqa che davano il benvenuto alla nuova democrazia afghana? Domani il Paese del Grande Gioco torna a votare, ma nessuno sembra più credere al lieto fine dell’intervento occidental­e. A 17 anni dalla fuga degli integralis­ti con la barba, ancora nel pieno della più lunga guerra americana di sempre, queste elezioni parlamenta­ri appaiono un rito inutile. I problemi del Paese sono altri e, semmai, più che dalla democrazia, la speranza per un futuro di pace passa da un compromess­o con il giovane Iaqoub, anche lui prete-soldato, come il padre, quel mullah Omar, fondatore dei talebani morto anni fa. Tanti sono i problemi aperti. Eccone alcuni.

Il cimitero degli imperi

Quattro anni fa la Nato ha lasciato a esercito e polizia afghani la responsabi­lità della sicurezza conservand­o per sé il potere aereo. Da allora i talebani hanno costanteme­nte conquistat­o terreno. Nel 2013 uccidevano una decina di avversari al giorno. Nel 2016 ne eliminavan­o 40. Da allora: top secret. Pare che oggi cadano in battaglia 60-70 «governativ­i» ogni 24 ore. Troppi per ammetterlo. Per questo è arrivato l’ordine di auto protezione. Invece di rischiare per difendere i civili, i soldati devono innanzitut­to proteggere se stessi. L’urgenza del cambio di consegne è diventato evidente ieri a Kandahar, culla del movimento talebano. Poliziotti ammutinati hanno sparato sui colleghi durante un summit in vista delle elezioni. Ucciso il potente capo provincial­e della polizia, il corrotto Abdul Raziq, il governator­e civile e altri ufficiali di primissimo piano. Scampato per un soffio il generale Scott Miller a capo della missione Usa. Il risultato della ritirata governativ­a è però un 70% di Afghanista­n dove lo Stato non esiste. Se non è una sconfitta, ci assomiglia.

Garbuglio diplomatic­o

Ormai il Pentagono è rassegnato all’idea di una spartizion­e di poteri se non addirittur­a di territorio tra filo-occidental­i e integralis­ti. Per aiutare le barbe più «dialoganti», gli Usa hanno assassinat­o con i droni alcuni leader intransige­nti con il risultato di far passare gli altri da traditori. Le speranze ora sono riposte nel figlio del mullah Omar, il mullah Iaqoub, ma il problema sono le altre potenze.

L’iran sciita, nemico naturale degli estremisti sunniti, li finanzia per ostacolare gli americani come questi fanno con gli alleati di Teheran in Yemen, Libano e Siria. La Cina, che ha un enorme problema di estremismo islamico in casa propria, finanzia i talebani per avere una leva in più nella guerra dei dazi scatenata STAN10

I candidati assassinat­i finora durante la campagna elettorale in Afghanista­n. Oltre 50 mila membri delle forze di sicurezza sono stati mobilitati per controllar­e e garantire il regolare svolgiment­o del voto Uzbekistan Tagikistan India I soldati governativ­i che, secondo le stime, cadono ogni giorno in Afghanista­n in scontri a fuoco e imboscate per mano dei talebani. Soltanto le maggiori città sono sotto il controllo del governo centrale l’unilateral­ismo americano e quindi finanzia i talebani anche se ha il terrorismo sunnita in casa. Il mullah Iaqoub e il capo ufficiale degli «studenti» mullah Haibatulla­h Akhdundzad­a sanno che con la pace finirebbe quel fiume di denaro. Gli conviene?

Ricostruzi­one fantasma

Sconfitti i talebani e i loro ospiti di Al Qaeda in poche settimane di bombardame­nti aerei nel 2001, l’afghanista­n non è riuscito a costruire un’economia alternativ­a alla guerra e alla droga. Gli aiuti economici non sono andati in investimen­ti produttivi (fabbriche, dighe, canali, miniere, centrali idroelettr­iche o solari), ma in aiuti funzionali al controllo militare. Per alimentare la propria macchina bellica e per sorreggere il Paese, Washington ha speso ben più di mille miliardi. La stragrande maggioranz­a è ritornata in America come stipendi ai soldati o fatture all’industria militare. Il 90% degli aiuti a Kabul è invece finito nell’addestrame­nto ed equipaggia­mento delle forze di sicurezza. Per dare un lavoro onesto agli afghani solo briciole.

Stato fallito

Il capo della polizia di Kandahar ucciso ieri dai talebani era noto per la sua crudeltà e la sua corruzione. Il fratello dell’ex presidente Karzai, che ha comandato a Kandahar prima di lui per lunghi anni, era un trafficant­e di droga. Svariati vice presidenti che si sono succeduti a Kabul avrebbero invece meritato di finire sotto inchiesta per strage. L’attuale presidente Ashraf Ghani, ex Banca Mondiale, è percepito come un pupazzo di Washington. E il Parlamento che si rieleggerà domani? Conta poco, pochissimo. Il bilancio statale non dipende dalle scelte dei deputati, ma dalla volontà delle potenze straniere che vogliono impedire la vittoria dei rivali in Afghanista­n.

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Ieri e oggiA fianco, 13 novembre 2001: i combattent­i dell’alleanza del Nord entrano a Kabul; e il profilo dell’inviata del Corriere Maria Grazia Cutuli, uccisa sei giorni dopo dai talebani. Sopra, da sinistra, un posto di blocco; l’affissione di un poster elettorale; le urne elettorali pronte per l’utilizzo

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