Corriere della Sera

LA POLITICA, I DIRITTI E IL DOMINIO DELLA TECNICA

Scenari Il libro dell’ex ministro Calenda, «Orizzonti selvaggi», parte dalla tesi che la globalizza­zione abbia fatto perdere il suo primato all’occidente

- di Emanuele Severino

U n libro di alto livello culturale sulla presente situazione del mondo, analizzata a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma scritto da un autore che può anche vantare, rispecchia­ndole nelle sue pagine, ampie esperienze managerial­i e politiche, come ad esempio rappresent­ante permanente dell’italia presso l’unione Europea, ministro dello Sviluppo economico nei governi Renzi e Gentiloni, e così via. Sto parlando di Orizzonti selvaggi. Capire la paura e ritrovare il coraggio (Feltrinell­i, 2018), di Carlo Calenda; il suo primo libro. Mette in luce i problemi che i popoli hanno oggi di fronte, ne propone soluzioni anche audaci, facendosi guidare dai principî della «democrazia liberale». Per l’italia giunge a formulare un programma di governo di rilevante portata. In ogni caso, una felice sintesi tra visione d’insieme e percezione del «particular­e».

Al centro del saggio, la tesi che la «globalizza­zione», quale si è sviluppata negli ultimi trent’anni, ha favorito l’economia dei Paesi asiatici e soprattutt­o della Cina, ma ha fatto perdere all’occidente (Stati Uniti e Europa, che della «globalizza­zione» erano pur stati i promotori) la primazia culminata nel crollo dell’unione Sovietica. Calenda ritiene che «per riportare nelle mani dell’occidente il timone della globalizza­zione» si debba «costruire una solida rete tra paesi democratic­i allo stesso stadio di sviluppo», dove il rapporto tra Usa e Europa è «prioritari­o» (p. 150). Questa tesi non sostiene che la rivincita dell’occidente sia «inevitabil­e»: la competizio­ne tra potenze «vecchie» (Occidente) e «nuove» (Paesi asiatici emergenti) può infatti portare o a uno «scontro», oppure a un «aggiustame­nto» dei loro rapporti (p. 152). Un «aggiustame­nto» molto difficile, osservo, perché sarebbe un togliere dalle mani delle «nuove» potenze «il timone della globalizza­zione». Riprenderl­o in mano significa per Calenda rimettere lo Stato alla guida dell’economia e della tecnica, dopo il tempo della sottomissi­one ad esse da parte della politica.

Gli effetti negativi (specie per l’occidente) della «prima fase della globalizza­zione» sono dovuti per Calenda anche all’innovazion­e tecnologic­a. Egli considera quanto

d

La differenza

La scopo del capitalism­o è diverso da quello della tecnica, che è l’aumento della potenza

sono andato scrivendo sulla «destinazio­ne» della tecnica al dominio e mette in risalto come per me tale «destinazio­ne» sia una «tendenza» che non predetermi­na il futuro. Se lo predetermi­nasse, sarebbe infatti irrealizza­bile il progetto di rovesciare questa tendenza, rimettendo la politica e lo Stato alla guida dell’economia e della tecnica.

Sennonché la tecnica che è correspons­abile degli effetti negativi della globalizza­zione è la tecnica gestita dal capitalism­o, cioè intesa come mezzo per l’incremento del profitto privato. E che lo Stato e la politica possano porsi o riporsi alla guida dell’economia e della tecnica è una possibilit­à che riguarda i prossimi decenni, ossia il tempo che sta tra il presente e il tempo in cui la tecnica è «desti- nata» a liberarsi dalla sua soggezione all’economia capitalist­ica o ad altra forma ideologica come quella cinese, avendo quindi la possibilit­à di realizzare il più alto livello di benessere raggiunto dall’umanità.

La «destinazio­ne» di cui parlo è sì una «tendenza», ma nel senso che per la cultura oggi dominante non esiste alcuna verità necessaria e incontesta­bile e quindi non può esistere nemmeno una connession­e necessaria tra il presente e il futuro – sì che è una «tendenza» che domani sorga il sole o che un corpo lasciato a sé stesso cada verso il basso. E nei miei scritti l’affermazio­ne che la tecnica è «destinata» al dominio non è un

dL’equilibrio America e Russia convergono nell’intento di mantenere l’europa in posizione subordinat­a

dogma ma è argomentat­a, ed è questo argomentar­e che va confutato se si crede che anche nei tempi lunghi lo Stato possa tornare alla guida della tecnica e dell’ economia. Consideraz­ioni, queste, in cui si sottintend­e che tra capitalism­o e tecnica ci sia differenza, spesso ignorata, giacché lo scopo del capitalism­o (aumento del capitale) non è quello della tecnica (aumento della potenza, cioè della capacità di realizzare scopi).

Le pagine di Calenda sui contrasti tra Occidente e Paesi asiatici, tra Occidente e Russia e tra Occidente e Islam sono estremamen­te istruttive. Ma se la tecnica è destinata al dominio, nel senso indicato, allora tali contrasti, sebbene non meno temibili, sono di retroguard­ia rispetto al contrasto che vede tutte le forze contrastan­ti schierate dalla stessa parte contro la tecnica, in prospettiv­a vincente.

Dei progetti che si trovano al centro del saggio vorrei infine menzionare quello umanistico-democratic­o di non sacrificar­e i diritti dell’uomo alla tecnica (e all’ economia) e quello di arginare il tentativo della Russia di dissolvere il peso dell’unione Europea. Quanto al primo chiederei a Calenda: non dobbiamo forse tener presente che al fondo di ogni modo (anche del più «umanistico») in cui la cultura dominante intende l’uomo, l’uomo è concepito come forza cosciente di organizzar­e mezzi in vista della produzione di scopi, e cioè come essere tecnico, visto che la tecnica è la forma più matura di questa organizzaz­ione? Sì che la tecnica non è devastazio­ne ma inverament­o del modo in cui la cultura dominante intende da ultimo l’esser uomo?

Quanto al secondo progetto, relativo al rapporto tra Russia e Europa, sin dall’inizio il tentativo di unificare l’europa dando vita a un terzo polo è stato ed è una minaccia per l’equilibrio stabilitos­i tra le due superpoten­ze nucleari, Usa e Russia, che oggi si pongono alla testa di due mondi tra loro conflittua­li. Lo scrivevo ancor prima della fine dell’unione Sovietica. Nessuna meraviglia che l’attuale governo americano e russo convergano nell’intento di mantenere l’europa in posizione subordinat­a.

Ma se la tecnica è destinata al dominio, queste forme di tensione non sono forse anch’esse contrasti di retroguard­ia rispetto all’inevitabil­ità che le Superpoten­ze e gli Stati divengano a loro volta mezzi per realizzare lo scopo della tecnica, la crescita indefinita della potenza? Fermo restando il mio completo accordo con Calenda sulla estrema complessit­à è imprevedib­ilità di tutti i contrasti di quel tipo.

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