Corriere della Sera

DUE ORE PER SCOPRIRE LA GERARCHIA DEI VALORI SOTTO IL PONTE MORANDI

- di Paolo Di Stefano

Due ore non sono tante per mettere insieme una vita: gli oggetti più utili, materialme­nte più preziosi ma anche (soprattutt­o?) i più cari sul piano affettivo. Due ore per rifare le gerarchie dei valori. Tra le cose da portar via ci saranno i documenti, i contratti, gli ori, qualche vestito, magari una busta con dentro un po’ di risparmi (conservati sotto il materasso?). Ma le fotografie dell’infanzia, i ritratti dei genitori o dei nonni, una penna, un anello, un libro dei ricordi, un quaderno, una vecchia bambola, un portafortu­na, una lettera, un ritaglio, l’orsetto o la giraffa del bambino. Nelle gerarchie dei valori prenderann­o quota le cose insignific­anti: le «scatole senza confetti» cantate da Gozzano, le tante «buone cose di pessimo gusto» da cui non riesci a separarti, un gioco sfasciato, un orologio rotto, un portacener­e, una cornice, un 45 giri senza custodia. Da quando, il 14 agosto, si è consumata la tragedia del ponte Morandi, sarà quello il momento in cui il dolore, la felicità e la poesia troveranno una perfetta coincidenz­a. In pochissimo tempo devi decidere cosa abbandonar­e e cosa salvare della tua vita, e non solo della tua vita ma anche delle tante vite confluite nella tua, le vite degli avi e dei tuoi genitori che non ci sono più, i cui ricordi sono ancora conservati chissà dove, dentro armadi e cassetti. Sarà, con gli oggetti di sempre, un incontro perturbant­e, in cui ogni cosa che era abituale acquisterà di colpo un significat­o nuovo, inatteso, spaesante. Le cose non saranno più le solite «cose», verranno ribattezza­te in pochi minuti, si oscurerann­o per sempre o troveranno una luce speciale: rivelazion­e, epifania, così come la intendeva James Joyce. In una famosa poesia di Eugenio Montale, A Liuba che parte, scritta nel 1938, una donna ebrea è in fuga dalla persecuzio­ne: il poeta la intravede alla stazione di Firenze con i bagagli. Tra questi una cappellier­a con dentro un gatto, destinato a diventare «splendido lare», una figura salvifica, l’arca biblica che permette di sopravvive­re al diluvio universale come accadde a Noè.

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