Profitti senza tasse per i nuovi filantropi
Nei suoi primi anni alla Casa Bianca il presidente-imprenditore che trasforma l’informazione in marketing e interpreta la politica estera come una trattativa commerciale senza fine ha sorpreso anche gli imprenditori attaccando molte grandi imprese. Con un gusto particolare per le scudisciate al mondo «buonista» del forum di Davos, quello di multinazionali e gruppi tecnologici che si sentono socialmente responsabili. Da tempo il turbocapitalismo della Silicon Valley cerca di mostrarsi utile alla società (o di emendare i suoi peccati con iniziative benefiche, secondo le interpretazioni meno benevole) finanziando attività filantropiche di vario tipo. Il turbocapitalismo trasformato in filantrocapitalismo è diventato popolare grazie alla promessa di molti miliardari di donare gran parte del loro patrimonio e grazie a iniziative come la lotta di Bill Gates contro le malattie endemiche in Africa. Poi, però, sono arrivati i ripensamenti: si è scoperto che tra le iniziative benefiche esentasse finanziate da tycoon come Mark Zuckerberg possono esserci anche quelle politiche o a sostegno di idee mercatiste. Perché, poi, affidare funzioni pubbliche a chi non è stato eletto? Meglio chiedere a big tech di contribuire al bene comune superando l’allergia a pagare tributi proporzionati ai suoi enormi profitti. Donald Trump sembrava deciso ad andare in questa direzione, ma da un paio di mesi nella Silicon Valley è tutto un moltiplicarsi di convegni e consulenze tributarie per studiare come meglio utilizzare le Opportunity Zones: cioè la possibilità di non pagare fino al 2026 le tasse sui profitti reinvestiti in 8700 zone depresse d’america, dalla città californiana di Oakland a spazi remoti delle Hawaii e dell’alaska. La norma è contenuta nella riforma fiscale varata da Trump alla fine dello scorso anno: con l’attenzione tutta concentrata sui tagli delle tasse non l’aveva notata (quasi) nessuno. Né si sa se l’abbia voluta il presidente o se sia stata un’idea di Gary Cohn: il suo consigliere economico, regista della riforma. Fatto sta che molti miliardari americani — digitali e non — sono rimasti a bocca aperta: potranno investire esentasse non solo in non profit ma anche in società a fini di lucro. I cui profitti potrebbero essere non tassabili. Basta farlo nelle zone del Paese (12% della superficie Usa) considerate depresse. Investire e guadagnare passando per filantropi: per molti esperti sarà il nuovo trend del capitalismo Usa. Miliardari come Sean Parker, Peter Thiel e Reid Hoffman sono già in pista.