Corriere della Sera

UNA DISPUTA DI LOGICA BALNEARE

- Di Claudio Magris

Al Bagno Ausonia, a Trieste. Un tempo lo stabilimen­to si chiamava Ausonia/savoia e indicava due bagni distinti: il primo, di pietra azzurrina, con le sue piscine per le gare, i suoi trampolini regolament­ari, il solario e il ristorante, un tempo feste danzanti e sfilate di aspiranti al titolo di Miss Trieste.

Il secondo, sino agli anni Trenta in buona parte in legno; un’atmosfera fitzgerald­iana di giovinezza e di fugacità, donne bellissime la cui bocca, quando scendeva su di essa un’ombra di malinconia, sposava, scrive Saba, la loro aurora alla sua sera. Luogo di personaggi leggendari come Leonor Fini o Leo Castelli, la cui galleria a New York avrebbe presto inventato e imposto la Pop Art; bambini che sguazzano nell’acqua, quasi sempre limpida e trasparent­e nonostante lo stabilimen­to sia quasi in città. Là, nel mare aperto, generazion­i hanno, abbiamo imparato a nuotare e ad amare per sempre l’estate, estati lunghe come evi tra un anno di liceo e l’altro. Ottimo e affollato osservator­io per vedere la Barcolana, gare di nuoto, olimpiadi della clanfa, il tuffo volutament­e scomposto e sgraziato il più possibile.

A parte le vere e proprie cabine, lo spogliatoi­o nella parte chiamata un tempo, ma ancora oggi, Savoia consiste in alcuni vani che proteggono l’intimità con una spessa tenda. Dinanzi a quest’ultima, chi vuol spogliarsi o rivestirsi chiede «libero?»; se non ottiene risposta entra e se si sente dire «occupato» cerca un vano libero.

Qualche settimana fa la dialettica libero/occupato ovvero silenzio o risposta si è aggrovigli­ata in un paradosso che solo un sottile tribunale rabbinico avrebbe potuto risolvere. Mi accosto con gli abiti in mano a una tenda e chiedo «libero?». «Sì, libero», risponde dall’interno una voce; nell’esiguo spazio c’è una signora seduta su una sedia che sta infilandos­i dei pantalonci­ni e non ha nient’altro addosso. «Ma non vede che qui ci sono io», dice irritata. «Sì, rispondo, ma Lei ha detto “libero”». — «Ma se ha sentito una voce, vuol dire che c’era qualcuno». « Ma perché non ha detto invece “occupato?”», domando a mia volta. La disputa logica continua e la signora è tanto infervorat­a da non continuare la peraltro nemmeno iniziata vestizione.

Alla fine chiedo: «Scusi, posso uscire?». Ed esco, indubbiame­nte sconfitto, un po’ confuso.

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