UNA DISPUTA DI LOGICA BALNEARE
Al Bagno Ausonia, a Trieste. Un tempo lo stabilimento si chiamava Ausonia/savoia e indicava due bagni distinti: il primo, di pietra azzurrina, con le sue piscine per le gare, i suoi trampolini regolamentari, il solario e il ristorante, un tempo feste danzanti e sfilate di aspiranti al titolo di Miss Trieste.
Il secondo, sino agli anni Trenta in buona parte in legno; un’atmosfera fitzgeraldiana di giovinezza e di fugacità, donne bellissime la cui bocca, quando scendeva su di essa un’ombra di malinconia, sposava, scrive Saba, la loro aurora alla sua sera. Luogo di personaggi leggendari come Leonor Fini o Leo Castelli, la cui galleria a New York avrebbe presto inventato e imposto la Pop Art; bambini che sguazzano nell’acqua, quasi sempre limpida e trasparente nonostante lo stabilimento sia quasi in città. Là, nel mare aperto, generazioni hanno, abbiamo imparato a nuotare e ad amare per sempre l’estate, estati lunghe come evi tra un anno di liceo e l’altro. Ottimo e affollato osservatorio per vedere la Barcolana, gare di nuoto, olimpiadi della clanfa, il tuffo volutamente scomposto e sgraziato il più possibile.
A parte le vere e proprie cabine, lo spogliatoio nella parte chiamata un tempo, ma ancora oggi, Savoia consiste in alcuni vani che proteggono l’intimità con una spessa tenda. Dinanzi a quest’ultima, chi vuol spogliarsi o rivestirsi chiede «libero?»; se non ottiene risposta entra e se si sente dire «occupato» cerca un vano libero.
Qualche settimana fa la dialettica libero/occupato ovvero silenzio o risposta si è aggrovigliata in un paradosso che solo un sottile tribunale rabbinico avrebbe potuto risolvere. Mi accosto con gli abiti in mano a una tenda e chiedo «libero?». «Sì, libero», risponde dall’interno una voce; nell’esiguo spazio c’è una signora seduta su una sedia che sta infilandosi dei pantaloncini e non ha nient’altro addosso. «Ma non vede che qui ci sono io», dice irritata. «Sì, rispondo, ma Lei ha detto “libero”». — «Ma se ha sentito una voce, vuol dire che c’era qualcuno». « Ma perché non ha detto invece “occupato?”», domando a mia volta. La disputa logica continua e la signora è tanto infervorata da non continuare la peraltro nemmeno iniziata vestizione.
Alla fine chiedo: «Scusi, posso uscire?». Ed esco, indubbiamente sconfitto, un po’ confuso.