Il serial killer si affilia ai clan mafiosi Terrore e follia nella guerra di Foggia
In «La lupa» (Sem) Piernicola Silvis dà forza al thriller con il suo passato da questore
Una donna immobile. Un sicario. Un macellaio criminale. Questi sono i personaggi sulla scena. E uno studente disperato. È un testimone che ha parlato. Lo ammazza il sicario. Il macellaio finisce il lavoro: «ripulisce» l’omicidio. Tecnicamente, è un occultamento di cadavere. Tradotto in narrativa: un feroce pezzo pulp. L’ultimo romanzo di Piernicola Silvis, La lupa (Sem), inizia da quella scena. E da un luogo specifico: «Gargano, Puglia. Masseria di Monte del Falco». La forza delle 479 pagine del racconto che segue sta già tutta lì, condensata, almeno nei suoi tratti essenziali. Uno è la prima vita dello scrittore, che per quarant’anni è stato un poliziotto, in Veneto, Sardegna, Marche, fino al suo ultimo incarico, questore di Foggia dal 2013 al 2017. Esperienza che trasmette alla scrittura lo spessore della conoscenza: dei meccanismi investigativi, delle dinamiche criminali, della psicologia dei malavitosi e della testa degli sbirri. E poi il luogo. Silvis è foggiano di nascita, nella sua città ha chiuso la carriera. La quarta mafia l’ha studiata, contrastata. Una mafia spietata. Estorsioni a tappeto, omicidi e stragi, massacri nelle campagne. La mafia del triangolo Foggia-gargano-cerignola. Dimenticata. Rimossa dalla politica e dal dibattito pubblico nazionale. Silvis la racconta. Meglio, la narra. La violenza vissuta da poliziotto oltrepassa il confine realtà/finzione e diventa materia potente per il thriller. Per la costruzione dei personaggi. Come la donna che, con una piccola videocamera, riprende l’assassinio e lo smembramento del cadavere nella prima scena. «Sonia Di Gennaro, cinquantatré anni. La chiamano “la Lupa”».
Il protagonista del romanzo però è Renzo Bruni, poliziotto del Servizio centrale operativo di Roma. Già conosciuto dai lettori in Formicae, precedente romanzo di Silvis (sempre edito da Sem, 2017), Bruni è uno che va in bestia se lo chiamano commissario. Perché i commissari esistono (e dilagano) in letteratura, ma non nei gradi della polizia. Quando a Silvis viene chiesto quale sia l’originalità del suo personaggio, rispetto ai protagonisti di tanti altri polizieschi contemporanei, lui risponde con semplicità: «Bruni è un poliziotto ordinario. Il suo senso del sacrificio, le sue rabbie e le sue intuizioni sono quelle dei tanti funzionari dello Stato in servizio». Come dire: più che un personaggio originale, è un personaggio vero. La sua forza non sta nella differenza, ma nella profondità.
Il male, in La lupa, si chiama invece Diego Pastore. Era il serial killer di bambini in Formicae. Si affilia ai clan. Diventa sicario, poi capo. Evoluzione inedita. Non esiste in criminologia il caso di un assassino seriale, e dunque soggetto deviato, ossessionato, solitario, mosso da demoni interiori, che a un certo punto del suo percorso entri nella criminalità organizzata. Qui il poliziotto ha lasciato piena libertà allo scrittore. E lo scrit- tore ne ha approfittato. Perché quell’evoluzione diventa un motore narrativo. Ma, su un piano più profondo, è anche simbolica, una chiave di interpretazione: per raccontare la mafia del Nord pugliese che, oltre la violenza organizzata e razionale, sta vivendo quasi una stagione di devianza psicotica.
La lotta è tra Bruni e Pastore. Il meccanismo del racconto scandisce tempi rapidi, governa le concatenazioni di una trama densa, alterna scenari e punti di vista, molte figure femminili e i sentimenti del poliziotto ferito, feste da vip e inutili commissioni parlamentari, s’addensa infine per condurre alle scene maggiori, come quella che si svolge a San Giovanni Rotondo. Centro del Gargano, il paese di Padre Pio, l’ospedale che nella realtà accoglie buona parte dei moribondi sfigurati dagli agguati. In quell’ospedale entra anche la narrazione de La lupa. E non è (solo) artificio da thriller. È il poliziesco che scava dietro l’immagine dei santi.