LA REALTÀ TESTARDA DEI NUMERI
L a realtà è testarda. Oggi si palesa con il declassamento di Moody’s e in un numero. Lo spread, cioè la differenza fra il rendimento di un Btp e quello di un Bund tedesco. Ha superato la soglia dei 300 punti il 2 ottobre quando il governo, dopo settimane in cui ripeteva che gli impegni assunti con l’europa sarebbero stati rispettati, ha annunciato un deficit tre volte superiore. Purtroppo non si tratta solo di regole violate. I giorni precedenti il 2 ottobre il ministro dell’economia aveva incontrato numerosi investitori internazionali ripetendo che il deficit si sarebbe fermato intorno all’1,6. È stato preso in parola, e il lunedì successivo i loro fondi, che detengono molti Btp, hanno subito perdite gravi. La scarsa dimestichezza di Giovanni Tria con i mercati non aiuta: nel mondo della finanza la parola data è tutto e la reputazione, una volta perduta, non si riacquista più.
Sembra si faccia il possibile perché l’italia scivoli verso l’america Latina, cioè divenga un Paese in cui le promesse della classe politica negano l’aritmetica. E poi, quando la forza della realtà si impone, anziché correggere gli errori si cerca di cambiarla: si stampa moneta e si finisce con l’inflazione e l’aumento della povertà. «Populism in Latin America» di Sebastian Edwards e Rudiger Dornbusch è un libro illuminante che oggi dovrebbe essere tradotto e letto. Per evitare che questo accada bisogna conoscere la nostra storia e chi siamo.
Se davvero le nostre scuole fossero un disastro, come mai migliaia di ricercatori italiani lavorano nelle migliori università del mondo? Forse hanno completato i loro studi lontano dall’italia, ma i più si sono formati nella nostra scuola pubblica. La nostra sanità pubblica ha un’ottima qualità (con eccezioni in alcune regioni del Mezzogiorno) e protegge tutti. Negli Stati Uniti anche dopo le riforme del presidente Obama c’erano ancora circa 27 milioni di cittadini privi di assicurazione medica che non possono permettersi cure ospedaliere.
E poi le imprese. La nostra bilancia commerciale è in attivo per circa 40 miliardi di euro. Cioé, esportiamo 40 miliardi di beni e servizi in più di ciò che serve per pagare tutta l’energia che importiamo. Non solo i grandi, come Luxottica o Leonardo, ma anche la meccanica veneta ed emiliana, i Brevini per fare un esempio. E poi Brembo, Marposs, Datalogic, Prysmian e tanti altri. Imprenditori riconosciuti come leader al mondo nei loro settori. Troppo a lungo sono rimasti in silenzio.
Scriveva Luigi Einaudi su queste colonne il 6 agosto 1924, quattro mesi dopo le elezioni politiche del 6 aprile in cui il Partito Nazionale Fascista ottenne il 65 percento dei voti: «Contro lo stato di illegalismo, contro le minacce di seconda ondata, contro la soppressione della libertà di stampa hanno protestato i giornali, i collegi professionali degli avvocati, partiti politici pur aderenti al governo attuale, come i liberali, e alta si è sentita ieri la voce dei combattenti. Soltanto i capitani dell’italia economica tacciono».
Quelle libertà per ora non sono in pericolo, ma la superficialità con la quale i due vicepresidenti del Consiglio accennano ad una possibile uscita dall’unione europea («Qui mi trovo a casa, in certa Europa no» ha detto due giorni fa a Mosca Matteo Salvini) sollevano per il futuro dell’italia problemi altrettanto gravi.
La bilancia commerciale È in attivo per 40 miliardi di euro, la nostra sanità ha un’ottima qualità e anche la scuola
Gli imprenditori italiani vivono nel mondo, sono ogni giorno impegnati in gare difficili, con una concorrenza che non consente disattenzioni. I loro clienti sono a Hong Kong, in Canada, in California. È comprensibile che Roma sembri loro su un altro pianeta. Ma sbagliano. Il valore delle loro aziende non prescinde dal valore dell’italia. A parte il fatto che le imprese italiane hanno emesso obbligazioni in valute diverse dal-
Promesse da mantenere Nel mondo della finanza la parola data è tutto la reputazione una volta perduta non si riacquista
l’euro per qualche centinaio di miliardi, e che quindi subirebbero perdite ingenti nel caso di un’uscita dall’unione monetaria. Per molti, ad esempio per l’industria del mobile o quelle del cibo e della moda, doversi spostare altrove nel mondo vorrebbe dire perdere buona parte del loro valore.
Una consapevolezza però inizia a farsi strada. Quello che hanno detto Marco Bonometti (industriali lombardi), Alessio Rossi (giovani imprenditori), Carlo Bonomi (Assolombarda), nelle ultime 48 ore dimostra che anche fra gli imprenditori qualcuno comincia a capire. Dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per la maggioranza e il governo. Se così non sarà, prepariamoci ad una realtà molto buia.