Moody’s declassa l’italia
Lega e M5S, ancora parole dure tra i leader. Ma si cerca l’intesa sui condoni
L’agenzia statunitense Moody’s boccia la manovra del governo e taglia il rating. Italia declassata. Fiammata dello spread, mentre tra Lega e Cinque Stelle volano parole dure. Prove d’intesa sui condoni.
Alla Leopolda, per presentare la contromanovra scritta con Matteo Renzi e tutta incentrata sulla crescita, Pier Carlo Padoan evoca «l’ondata di piena che rischia di travolgerci». E l’ex segretario non è da meno: «Potremmo romperci l’osso del collo».
Non recitano la parte dei «gufi», i due esponenti del Pd. Anche perché il Partito democratico è preoccupato. Nella sala che a sera inizia a riempirsi si rincorrono dubbi e perplessità: «Se si va alle elezioni, c’è il pericolo di schiantarci»; «A questo punto saremo trascinati a fare un governo con i grillini...».
Ma Renzi è convinto del contrario: «Ci aspetta una lunga traversata nel deserto», dice in serata. E spiega: «Di Maio e Salvini non romperanno mai, non sfasceranno la coalizione ma il Paese. Perciò dobbiamo attrezzarci per il lungo periodo e la contromanovra e i comitati civici vanno in questa direzione». Dunque, al di là della propaganda, Renzi non crede che il governo possa entrare in crisi (e non è il solo nel Pd a pensarla così).
La preoccupazione per ciò che può accadere al Paese, però, qui alla Leopolda è palpabile. E un sospetto pervade la platea: l’enfatizzazione dei pericoli che si profilano per l’italia non servirà forse anche a rinviare le assise nazionali? Una frase di Renzi in mattinata alimenta queste illazioni. «Non è il congresso la cosa più importante», dice l’ex premier intervistato da Fanpage. E poi prosegue così: «Il Paese sta andando a sbattere e davvero uno pensa che il problema sia scegliere tra Minniti e Richetti?».
Un’affermazione, questa, che apre la stura a nuove indiscrezioni . E infatti ieri sera la partecipazione dell’ex ministro alla Leopolda non veniva più data per certa. Ma Minniti ci sarà. Passerà nel pomeriggio, anche se non interverrà: l’ex ministro, comunque, dovrebbe sciogliere la riserva nei primi giorni della prossima settimana.
Nel frattempo dallo staff di Renzi si fa sapere che non è intenzione dell’ex segretario puntare allo slittamento delle assise nazionali. E i dirigenti del Partito democratico a lui vicini ripetono : «Il congresso potrebbe slittare solo se lo spread arrivasse a 400 e il governo saltasse». A sera l’ex presidente del Consiglio cerca di ridimensionare la portata delle sue parole: «È una cavolata galattica che io non voglia fare il congresso. Ormai è incardinato e si va avanti come da programma. Comunque non sta a me metterci bocca, non mi metto a tramare per mettere uno o l’altro alla segreteria». Ma la voce dello slittamento continua a girare, e non solo alla Leopolda. La presa di posizione di Andrea Orlando, che ha giudicato troppo «centrista» la linea di Nicola Zingaretti fa capire che i giochi non sono ancora chiusi. Lo sono però per Renzi che ora è tutto concentrato sulla contromanovra in sei punti presentata con l’ex ministro dell’economia Padoan: riduzione del deficit nominale al 2,1 nel 2019, all’1,8 nel 2020, all’1,5 nel 2021; recupero dei tagli fatti a Ecobonus, Ace e Iri; abolizione totale dell’imposta di registro; riapertura del progetto di Casa Italia; cancellazione dell’irap, Assegno universale per i figli dal 2020.