Corriere della Sera

Ma Di Maio è forte? I dubbi della Lega

- di Francesco Verderami

Voleva essere altrove, invece gli toccherà passare il sabato a Roma, con l’umor nero da gestire e un governo che così non può più essere gestito. «Cerchiamo di portare a casa la manovra, poi vedremo», dice Giorgetti ai ministri della Lega.

L’uomo delle strategie e delle profezie, che in primavera aveva voluto fortemente l’accordo con i Cinquestel­le e che in estate aveva previsto i marosi finanziari sull’italia, non riesce a scorgere nulla oltre l’orizzonte temporale di inizio inverno. Mettere in sicurezza la legge di bilancio è la priorità, poi a fine anno si tirerà una riga anche sui conti politici e si valuterà se e quanto potrà durare il «contratto» coi grillini. Uno scambio di sms non può celare la fine del rapporto fiduciario tra Di Maio e Salvini, che evidenzia una crisi di relazione tra i due partiti su ogni questione.

Palazzo Chigi è l’osservator­io ideale per capire lo stato delle cose. Nel governo, da un mese il ministro leghista Stefani si lamenta con Giorgetti perché «dai colleghi dei Cinquestel­le non arrivano le indicazion­i richieste sulle competenze da assegnare alle regioni. È chiaro che non vogliono dare l’autonomia al Veneto e alla Lombardia». In Parlamento, il decreto sicurezza faticava ad andare avanti ben prima che Salvini additasse la caterva di emendament­i presentati dai grillini, «manco fossero all’opposizion­e». Così l’altra sera, dopo lo scontro sul decreto fiscale, il sottosegre­tario ha commentato: «La verità è che noi, se Matteo ci chiede una cosa, la facciamo. Di Maio i suoi li controlla o no? Questa è la domanda, questo è il problema».

Il modo in cui il capo di M5s ha denunciato l’intervento di una «manina» sul provvedime­nto, senza avvisare gli alleati ma con l’intento di far scoppiare pubblicame­nte il caso, offre la risposta. Il leader leghista ritiene che sia in atto un’operazione «per farci fuori dal governo», e che nel disegno siano coinvolti i poteri forti nazionali e internazio­nali con il sostegno persino del Colle. Per Giorgetti invece le cose non stanno così, l’ha spiegato due sere fa ad alcuni ministri e sottosegre­tari del Carroccio: «Con quello che i Cinquestel­le stanno combinando in questi mesi, se dovesse saltare il governo, i poteri forti e anche il Quirinale si guarderebb­ero bene dal fargli toccare ancora la palla di qui in avanti. Credetemi, parlo a ragion veduta».

La Lega osserva gli alleati e vede se stessa, com’era nel ‘94: un movimento di protesta in canottiera che si ribellava alla grisaglia ministeria­le. Infatti ruppe subito con Berlusconi e dovettero passare sette anni prima di rimettere piede a palazzo Chigi. Ma nel Carroccio comandava Bossi, mentre dentro M5S Fico ieri ha dato voce all’opposizion­e interna: «Se resta il condono c’è un problema. Noi non siamo uguali alla Lega». Di lì a poco è partita la controffen­siva di Salvini, che non ci stava a passare per «l’amico degli evasori» e ha fatto dichiarare i capigruppo e tutti i ministri contro la norma voluta dai grillini, inserita nel decreto su Genova per il condono dell’abusivismo edilizio a Ischia.

Voleva essere altrove, invece Giorgetti dovrà impegnarsi oggi per trovare un compromess­o con chi lo ha tacciato di un’accusa «infamante», aver manipolato il testo del decreto fiscale: «... Perché poi lo capisco Di Maio, ma se hai un problema nel tuo partito non puoi scaricarlo sugli alleati». La pezza che Conte ha cercato di mettere alle parole del vice premier grillino — «su quella norma c’era solo un accordo politico» — si è rivelata peggiore del buco. Per il ministro leghista Fontana è stato facile smontare l’arringa difensiva dell’«avvocato del popolo»: «Era solo un accordo politico? E allora cosa abbiamo votato in Consiglio dei ministri?».

La partita si rigioca oggi, il risultato secondo Salvini sarà deciso a tavolino, al vertice che precederà la riunione di governo. Giorgetti avrebbe voluto assistere a un’altra partita, la finale che le ragazze italiane hanno conquistat­o al Mondiale di volley. E non tanto perché ha la delega allo sport, ma perché le pallavolis­te azzurre le conosce da quando erano poco più che bambine, e lui — da dirigente sportivo — mangiava accanto a loro in mensa e intuiva le potenziali­tà della Egonu, il martello di colore che indossa il tricolore: «Segno che è italiana anche senza lo ius soli». Avrebbe voluta applaudirl­a da vicino, invece niente: salta la finale, è saltato anche il rating di Moody’s. «Cerchiamo di portare a casa la manovra, poi vedremo». Giorgetti vorrebbe essere altrove.

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Al trucco Il vicepremie­r Luigi Di Maio, 32 anni, in tv per la registrazi­one di Petrolio, trasmissio­ne su Rai 1 (Imagoecono­mica)

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