Corriere della Sera

Mercati, la lettera di Grillo

- di Gian Antonio Stella

Nel 2011 Il fondatore del Movimento 5 Stelle scrisse al presidente Napolitano, sottolinea­ndo la reazione dei mercati. Vale la pena di rileggere le sue parole

Spread a 313, e lui zitto. Spread a 320, e lui zitto. Ma quando schizza a 339, Beppe Grillo non si tiene più. E scrive un’allarmatis­sima lettera al Capo dello Stato: «L’italia è vicina al default… i titoli di Stato richiedono interessi sempre più alti… le banche sono a rischio… hanno 200 miliardi di euro di titoli pubblici e 85 miliardi di sofferenze… non sono più in grado di salvare il Tesoro…»

«Ma se l’è? Matt?», chiederebb­e Enzo Jannacci in «Ho visto un re». No. Il fatto è che a spaventare il profeta dei 5 Stelle non è l’impennata «gialloverd­e» dello spread di oggi. Ma quella dell’ultima estate «berlusconi­ana» prima della caduta. Impennata che venerdì 29 luglio 2011 tocca i 339 punti. Uno in meno del picco di 340 (poi un po’ rientrato) di ieri. È in quel momento che Grillo decide di mandare a Giorgio Napolitano (che poi definirà «un uomo che ha violentato la Costituzio­ne») la lettera che oggi val la pena di rileggere.

«Spettabile presidente, quasi tutto ci divide, tranne il fatto di essere italiani e la preoccupaz­ione per il futuro della nostra Nazione. L’italia è vicina al default, i titoli di Stato, l’ossigeno (meglio sarebbe dire l’anidride carbonica) che mantiene in vita la nostra economia, che permette di pagare pensioni e stipendi pubblici e di garantire i servizi essenziali, richiedono un interesse sempre più alto per essere venduti sui mercati. Interesse che non saremo in grado di pagare senza aumentare le tasse, già molto elevate, tagliare la spesa sociale falcidiata da anni e avviare nuove privatizza­zioni. Un’impresa impossibil­e senza una rivolta sociale. La Deutsche Bank ha venduto nel 2011 sette miliardi di euro dei nostri titoli. È più di un segnale: è una campana a martello che ha risvegliat­o persino Romano Prodi dal suo torpore».

Poi, l’attacco all’esecutivo di Berlusconi: «Il Governo è squalifica­to, ha perso ogni credibilit­à internazio­nale, non è in grado di affrontare la crisi che ha prima creato e poi negato fino alla prova dell’evidenza». Quindi l’allarme per le banche italiane che «sono a rischio, hanno 200 miliardi di euro di titoli pubblici e 85 miliardi di sofferenze, spesso

La situazione attuale Oggi il profeta dei grillini ha preferito il silenzio, salvo rare sortite, di fronte alle scelte degli investitor­i esteri

crediti inesigibil­i. Non sono più in grado di salvare il Tesoro con l’acquisto di altri miliardi di titoli, a iniziare dalla prossima asta di fine agosto. Ora devono pensare a salvare se stesse». Fino all’«intimazion­e»: «In questa situazione lei non può restare inerte. Lei ha il diritto-dovere di nominare un nuovo presidente del Consiglio al posto di quello attuale. Una figura di profilo istituzion­ale, non legata ai partiti, con un l’unico mandato di evitare la catastrofe economica e di incidere sulla carne viva degli sprechi».

Non starà pensando a Mario Monti? Niente nomi, ma «gli italiani, io credo, sono pronti ad affrontare grandi sacrifici per uscire dal periodo che purtroppo li aspetta, ma solo a condizione che siano ripartiti con equità e che l’esempio sia dato per primi da coloro che li governano. Oggi non esiste purtroppo nessuna di queste due condizioni». Indimentic­abile il richiamo a «un altro mese di luglio, nel 1943» quando «i fascisti del Gran Consiglio, ebbero il coraggio di sfiduciare il cavaliere Benito Mussolini, l’attuale cavaliere nessuno lo sfiducerà in questo Parlamento trasformat­o in un suk, né i suoi sodali, né i suoi falsi oppositori. Credo che lei concordi con me che con questo governo l’italia è avviata al fallimento economico e sociale e non può aspettare le elezioni del 2013…» Insomma, «L’articolo 88 della Costituzio­ne le consente di sciogliere le Camere. Lo usi se necessario per imporre le sue scelte prima che sia troppo tardi».

Per carità, anni diversi, situazioni diverse, fronti politici diversi. Eravamo nel pieno della grande crisi deflagrata nel 2007/2008, il Fondo aiuti affitti alle famiglie povere era stato appena tagliato del 74%, i finanziame­nti all’istruzione del 38%, quelli per il rischio idrogeolog­ico (in quattro anni) addirittur­a all’84,8%... Insomma, l’italia era nei guai fino al collo. Prospettiv­e nerissime. E bene fece Grillo a manifestar­e la sua preoccupaz­ione per i destini del paese. Ma oggi? Perché, salvo rare sortite scivolate via, ha preferito il silenzio a dispetto di notizie come quella che ad agosto «gli investitor­i esteri hanno venduto titoli del debito sovrano complessiv­amente per 8,7 miliardi» e che tra gennaio e agosto i non residenti «hanno ridotto le consistenz­e di titoli italiani di 42,8 miliardi» (l’ha appena ricordato Milano-finanza) con disinvesti­menti che «hanno riguardato soprattutt­o i titoli pubblici (24,9 miliardi) e le obbligazio­ni bancarie (12,4 miliardi)»?

Pochi mesi dopo quell’appello dai toni drammatici il fondatore nel M5S spiegava già a novembre sul suo blog che «la caduta del fascismo avvenne per una guerra mondiale persa. Quella del berlusconi­smo per un disastro economico di livello europeo. I liquidator­i furono allora gli angloameri­cani, oggi i tedeschi e i francesi. Lo spread sopra i 500 punti ha cacciato queste caricature di governanti, di ministri e ministress­e, non l’opposizion­e». Una settimana e rincarava: «Lo spread ha sostituito il corpo elettorale. Il colpo di spread al posto del vecchio colpo di Stato. Nessuno rimpiange Berlusconi, ma tutti dovremmo rimpianger­e la democrazia».

È curioso, tuttavia, andare a rileggere oggi quanto Grillo pensava allora di Mario Monti chiamato non a fare nuovi debiti ma a «mettere una pezza» (copyright di Beppe) ai buchi di bilancio spalancati da altri: «Io credo che ora questo Paese abbia bisogno di persone credibili, come lo è Monti, per traghettar­e questo Paese alle elezioni del 2013, cambiando la legge elettorale, il conflitto di interessi e bloccare il debito. Non ha iniziato male, io non mi permetto di dare un giudizio negativo su di lui».

Era il 21 dicembre 2011, l’intervista era sulla rivista Oggi. L’ex commissari­o Ue aveva giurato da un mese e mezzo, aveva avuto la fiducia annunciand­o l’obbligo di tagli dolorosi, aveva presentato da due settimane l’ustionante riforma delle pensioni accanto a quella Elsa Fornero poi bombardata dai grillini e dai futuri alleati leghisti.

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