La manona
Le pallavoliste azzurre di tutti i colori sono una delle poche iniezioni di ottimismo che ci offre la cronaca. Gli italiani ne avevano talmente bisogno che le parole più cliccate su Google durante la settimana non riguardano le manine di Di Maio, ma le loro manone. Perché bucano la crosta del nostro cinismo? Intanto perché sono forti e le suonano a mezzo mondo, restituendoci la sensazione di contare ancora qualcosa. Poi sono giovanissime, in un Paese dove la gioventù è diventata un handicap. E sono contemporanee. Due di loro, la palermitana Miriam Sylla e la padovana Paola Egonu, incarnano un fenomeno nuovo: le immigrate di seconda generazione. Sono figlie di ivoriani e nigeriani, ma sanno e cantano l’inno di Mameli meglio di me, con uno spiccato accento siculo e veneto.
Sarebbe scorretto trasferire le schiacciate terrificanti di Egonu nell’agone della politica. Queste ragazze non ne possono più di venire strumentalizzate da tutti. Dai fautori della società aperta, che usano i loro successi sportivi per fare sentire in colpa chi contesta i disagi della migrazione incontrollata. E dai fautori della società chiusa, che le considerano connazionali solo quando vincono. Se Miriam e Paola devono proprio essere il simbolo di qualcosa, che lo siano del ribaltamento di un pregiudizio puramente oftalmico. Con buona pace di chi lo nega, esistono eccome le nere italiane. Sono quelle che si sono integrate nella nostra società nell’unico modo possibile: assorbendone usi e costumi.
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