«Nessuna amicizia giustifica tanti regali»
Le accuse di corruzione sono «fondate e supportate da prove solidamente univoche, concordanti oltre che impermeabili a ogni ragionevole dubbio», scrivono i giudici d’appello nelle oltre 400 pagine di motivazioni della sentenza con la quale il 19 settembre hanno condannato per corruzione a 7 anni e mezzo di carcere l’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni nel processo Maugeri-san Raffaele aumentando di 18 mesi la pena di primo grado. Le motivazioni spiegano che non gli sono state concesse le attenuanti perché è coinvolto in un altro procedimento per corruzione, relativo alla fornitura di una costosa apparecchiatura sanitaria, per il quale ha patteggiato 5 anni l’ex consigliere regionale di Fi Massimo Guarischi. Sarebbe stato lui a sostituire nel 2011 il faccendiere Pierangelo Daccò nel ruolo di finanziatore delle vacanze dell’allora governatore. Perno della vicenda Maugeri-san Raffele è proprio Daccò, «apriporte» al Pirellone, che avrebbe garantito a Formigoni viaggi da sogno. «Nessun rapporto amicale (esteso a parenti, collaboratori e conoscenti) è in grado di spiegare più di 640 mila euro per 5 Capodanni (più 37 mila franchi più 85 mila dollari)» scrivono i giudici. Che poi elencano l’uso esclusivo di yacht, l’acquisto di parte di una villa e altri benefit — valore totale 6,6 milioni — in cambio di vantaggi per le strutture sanitarie che in un decennio si sono assicurate finanziamenti per 180 milioni, la Maugeri, e 120, il San Raffaele. A loro favore Formigoni ha «piegato la sua altissima funzione pubblica» grazie al «cavallo vincente» Daccò, che era stato scelto dai privati solo per «rapporti privilegiati» che aveva con lui. L’accusa non ha fatto appello contro le assoluzioni di alti dirigenti regionali che, quindi, sono definitive. Ma ai giudici non sembra irragionevole ipotizzare per loro una responsabilità per abuso d’ufficio, perché la discrezionalità della pubblica amministrazione è stata condizionata agli interessi di Maugeri e San Raffaele. Per Formigoni si tratta di «una sentenza senza fondamento e senza verità. Neanche un fatto per motivare la mia condanna: le prove non ci sono, gli atti corruttivi non ci sono, la mazzetta non c’è».