Pietro Zander L’archeologo custodisce la necropoli vaticana (e i conti dei pranzi di Michelangelo): «Il primo Papa riposa qui, ecco le prove»
T occare con mano il cuore della cristianità significa scendere per 8 metri nelle viscere della terra, in quello che a prima vista potrebbe sembrare l’inferno, se lungo i cunicoli non s’incontrassero molte porte automatiche in cristallo. L’umidità, costante, oscilla fra il 98 e il 100 per cento. Subito il sudore ti scende a rivoli lungo il naso. Equilibrio termoigrometrico perfetto: l’acqua non può evaporare dai muri e quindi non lascia residui salini sugli affreschi. «Siamo in una nuvola», fa strada il «piccol Piero». L’archeologo Pietro Zander si definisce così per distinguersi dal «maggior Piero», citato da Dante nell’inferno della Divina Commedia.
Sulle ossa del primo papa, ritrovate 65 anni fa, veglia lui, Zander. Non è solo il responsabile della necropoli che si trova nel sottosuolo della basilica vaticana, più in basso delle Grotte dove migliaia di fedeli giungono ogni giorno a inginocchiarsi sulle tombe dei successori del pescatore di Galilea: per conto della Fabbrica di San Pietro, dirige anche la conservazione e il restauro dei beni artistici nell’immenso cantiere aperto il 18 aprile 1506 da papa Giulio II.
Qui i lavori non finiscono mai.
«Quando finiscono, è già tempo di ricominciarli. Per il Giubileo del 2000 abbiamo rifatto la facciata. Tra il 2006 e il 2016 i 35.000 metri quadrati del prospetto esterno. Nell’ultimo biennio le due cupole più piccole, alte 30 metri. Dal 2019 bisognerà pensare al Cupolone, 14.000 tonnellate di peso. Per non parlare degli interni».
Parliamone, invece.
«La basilica occupa 2,2 ettari di superficie, contiene 10.000 metri quadrati di mosaici, raggiunge i 132 metri di altezza. Il solo Baldacchino del Bernini misura quanto un palazzo di 10 piani».
Sarete la metà di mille a occuparvene.
«No, 120 persone, compresi gli archivisti che hanno in custodia 2 chilometri di documenti amministrativi, fra cui i costi per le “allegrezze”, i sei banchetti offerti da Michelangelo ai lavoranti. L’1 e il 2 novembre 1549 furono consumati 50 chili di vitella, 100 di manzo, 30 di salsicce, 30 di pecorino, 27 di vermicelli e 460 litri di vino corso. Oggi i sanpietrini sono 80, addetti anche alla necropoli».
E quella che superficie occupa?
«Lungo un percorso di 70 metri sono stati trovati 22 edifici, con 1.000 sepolture. Verso l’obelisco vi sono almeno altre 350 costruzioni sepolcrali inviolate».
Perché non le riportate alla luce?
«Per giungere alla tomba di Pietro bastò aprire il pavimento delle Grotte vaticane. Ma per cercare ancora in direzione est bisognerebbe sventrare la basilica e la piazza fino a 12 metri di profondità».
Come mai le indagini sulla tomba di Pietro cominciarono solo nel 1941?
«È certo che già l’antica basilica, edificata dall’imperatore Costantino nel IV secolo, poggiasse sulla sepoltura del Principe degli Apostoli. In questo luogo Pietro fu crocifisso a testa in giù per ordine di Nerone. Dopo il rogo di Roma dell’anno 64, moltissimi cristiani “giudicati colpevoli di odio verso il genere umano”, come narra Tacito negli Annali, “furono fatti sbranare dai cani, oppure vennero crocifissi e arsi vivi, perché come torce servissero a illuminare la notte”. Perciò, essendo questa terra bagnata dal sangue dei martiri, a ogni ritrovamento archeologico i papi ordinavano d’interrompere gli scavi e di chiudere tutto in segno di rispetto».
Mi sfugge il motivo per cui proprio Pio XII, uomo della tradizione, si sia discostato da questa pia consuetudine.
«Era stato nunzio apostolico a Berlino, dunque prestava molta attenzione al mondo protestante, che confutava la presenza dei resti mortali di Pietro sotto l’altare papale della Confessione. Cercava la prova e la trovò. Ma sarebbe bastato considerare che non vi era alcun motivo al mondo per cui Costantino facesse erigere una basilica proprio qui, fra gli acquitrini, sulla terra argillosa, in quelli che Tacito nelle Storie chiama “gli infami luoghi del Vaticano”».
Perdoni il bisticcio: che prove ci sono che «la prova» sia autentica?
«Varie, a cominciare dalla prima edicola funeraria costruita sulla tomba di Pietro, a ridosso di un muro intonacato di rosso. Di essa parla Eusebio di Cesarea, riportando la risposta data nel 200 dopo Cristo dal prete Gaio a tale Proclo, eretico abitante a Hierapolis di Frigia, circa la presenza dei “trofei”, cioè le sepolture, di Pietro in Vaticano e di Paolo sulla via Ostiense. Su quel muro rosso c’era un graffito, tracciato da un cristiano recatosi a venerare le spoglie mortali dell’apostolo. Oggi è custodito nella cassaforte della Fabbrica di San Pietro con il numero d’inventario 0001».
Reperto chiave, si direbbe dalla cifra.
«Consiste in sei lettere greche: “Pet eni”. Secondo gli studiosi, la frase completa stava per “Petros eni”, Pietro è qui, o “enesti”, è qui dentro, oppure per “Petros en irene”, Pietro in pace. Costantino racchiuse questa edicola, con la sottostante tomba, in una teca alta 3 metri. Intorno, disposti in forma circolare, altri sepolcri a una distanza di rispetto, quasi per segnalare l’importanza del defunto. Sul monumento furono eretti gli altari di Gregorio Magno e di Callisto II e infine, nel 1594, quello di Clemente VIII, sul quale celebra Francesco. Mai, nel corso dei secoli, questo punto centrale è stato modificato. Il Papa risiede qui perché è il successore di Pietro. Il Vaticano esiste perché qui subì il martirio ed è sepolto Pietro. Non lo dice Zander. Lo attesta fin dal IV secolo Eusebio di Cesarea, parlando di schiere che affluiscono da ogni parte del mondo».
Ma sulle ossa di Pietro non è mai stata raggiunta alcuna certezza.
«Nel 1953 l’epigrafista Margherita Guarducci identificò le reliquie nei resti che Costantino aveva avvolto in un drappo color porpora intessuto con fili d’oro. Nel 1962 li esaminò il professor Venerando Correnti, presidente dell’istituto di antropologia, il quale li attribuì a un uomo robusto di età matura. I residui di terra avevano la medesima composizione chimica della fossa di San Pietro».
Ogni volta che sono sceso nelle Grotte vaticane, ho visto frotte di fedeli davanti al sarcofago di papa Wojtyla, oggi traslato in basilica, e mai nessuno a pregare sulla tomba di San Pietro.
«Parliamo di 35.000 visitatori al giorno. Se arrivasse di buon mattino, prima della ressa turistica, troverebbe i devoti anche lì. Mi capita persino di vederne alcuni mettere la testa, in segno di deferenza, sotto il piede della statua di Pietro, quella consumata dal tocco delle mani».
E alla necropoli accedono in molti?
«Circa 62.000 persone l’anno, a gruppi di 10 e per non più di un’ora e mezza. Il numero chiuso si è reso necessario perché ogni individuo emette calore come una lampadina a incandescenza da 120 watt, quindi fa diminuire l’umidità e altera il microclima. Inoltre crea degrado, portando le spore con le suole delle scarpe. Ecco spiegata la speciale illuminazione germicida per scongiurare la crescita di microfunghi e di alghe nel sito archeologico. Ci siamo dovuti rivolgere agli stessi restauratori che hanno avuto in cura la tomba di Nefertari in Egitto».
Nessuno dubita che la sposa di Ramses II sia stata sepolta nella Valle delle Regine. Ma su San Pietro si discute.
«Quando mi accosto al cosiddetto “muro dei graffiti”, mi si piegano le ginocchia, perché sento di trovarmi al cospetto di colui che Cristo nominò suo vicario in terra. Lo stesso turbamento l’ho notato anche sul volto dei non credenti e dei molti personaggi giunti nella necropoli, compresi i parenti di Fidel Castro e un cantante che chiamano The Boss».
I resti dell’apostolo in una nuvola: l’umidità è al 100%. Nella Fabbrica dal 1506 i lavori non finiscono mai E presto toccherà al Cupolone
Sta parlando di Bruce Springsteen?
«Ecco, sì, lui. Non ricordavo il nome».
I pontefici vengono nella città dei morti dove riposa il loro predecessore?
«A mia memoria, neppure Pio XII, che promosse gli scavi, vi è mai sceso. Alla vigilia del 1° aprile 2013 ricevetti una telefonata dal cardinale Angelo Comastri, arciprete di San Pietro, che mi annunciava per l’indomani una visita di Francesco, eletto papa da 17 giorni. Lì per lì pensai a un pesce d’aprile. Ma quello era anche il Lunedì dell’angelo. Siamo rimasti nella necropoli dalle 16.45 alle 18. Ho visto il Santo Padre commuoversi e l’ho udito ripetere ad alta voce le tre professioni di fede del primo apostolo. Si è anche soffermato sulla tomba di un cristiano chiamato Istatilio, riconoscibile dal cristogramma con la X e la P dell’alfabeto greco sovrapposte. L’iscrizione latina recita: “È andato d’accordo con tutti e non ha mai causato litigi”. Il Papa ha commentato: “È un bel programma di vita”».
Le tombe islamiche non hanno nome. Magdi Allam mi ha confessato: «Mentre seppellivo mia madre, sapevo già che, senza una lapide, non avrei più avuto un luogo esatto su cui piangerla. Ho potuto appoggiare nel punto dell’inumazione solo un sasso, uguale a tanti altri».
«Già per i Romani il defunto rimaneva vivo grazie al ricordo. Noi abbiamo il 2 novembre, loro gli dedicavano nove giorni di commemorazione. Noi offriamo i crisantemi, loro le viole a marzo e le rose a maggio. E nel giorno del compleanno facevano banchetti sulla tomba del caro estinto».
Come s’immagina San Pietro?
«Come ce lo tramanda l’iconografia. Abituato alle fatiche della pesca, tanto vigoroso da poter arrivare a piedi, seppure già anziano, da Brindisi a Roma. Ma anche così debole da rinnegare tre volte Gesù. Per questo la Chiesa fu fondata su Pietro. Era un uomo normale, con tutte le nostre fragilità, però capace di pentirsi del tradimento, di piangere amaramente e di scegliere la via del martirio».
Ma lei ha capito a che servono i santi?
«Sono un ponte fra noi e il Cielo». ● La Fabbrica, che ha per delegato pontificio il vescovo Vittorio Lanzani, fu istituita da Giulio II nel 1506 per la costruzione della basilica