Corriere della Sera

Cina, la crescita scende ai livelli 2009 Ma sui dazi si tratta con Washington

Il Pil «rallenta»: +6,5%. Contromoss­a commercial­e: a Shanghai l’expo dell’import

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Guido Santevecch­i

L’economia cinese rallenta, ora cresce «solo» al 6,5 per cento. Il dato del Pil nel terzo trimestre di quest’anno segnala il passo più lento di espansione dal 2009, ai tempi della grande crisi finanziari­a che devastava i mercati globali. Il rallentame­nto rispetto al secondo trimestre di quest’anno per la Cina è di 0,2 punti percentual­i e secondo gli analisti rispecchia oltre che una frenata nella seconda economia del mondo anche gli sforzi del Partito comunista di ridurre il rischio del debito che finora ha finanziato massicciam­ente lo sviluppo. Il governo cinese aveva fissato un obiettivo di crescita per l’intero 2018 al 6,5% e a questo punto è certo che sarà raggiunto.

Ma a Pechino c’è preoccupaz­ione per una sfida su due fronti: quello interno e quello esterno con gli Stati Uniti. Lo dimostra una pioggia di dichiarazi­oni rassicuran­ti venute ieri dalle autorità. Il vicepremie­r Liu He, braccio destro di Xi Jinping per la politica economica, dice che le banche cinesi debbono continuare a sostenere le aziende private «perché se si guarda solo a un momento particolar­e si vedono solo le difficoltà, ma se si considera la nostra storia le prospettiv­e sono brillanti». Se si agita un calcolator­e freddo come Liu He è chiaro che il governo non si sente tranquillo e guarda con ansia alla guerra commercial­e con gli Stati Uniti. «L’impatto psicologic­o è superiore a quello reale, ma Pechino e Washington sono in contatto», ha detto il vicepremie­r, riferendos­i al vertice tra Xi e Donald Trump annunciato a margine del G20 di Buenos Aires a novembre.

Bisogna fare due consideraz­ioni: dal 2009 la Cina ha rappresent­ato oltre il 30% della crescita mondiale, quindi un suo rallentame­nto e un ripiegamen­to sui livelli del 2009 rischia di coinvolger­e l’economia globalizza­ta. Ma la Repubblica popolare cinese ha anche raddoppiat­o il suo Pil rispetto al 2009, da 5.100 miliardi di dollari a 12.200 nel 2017, quindi il 6,5% di oggi vale il doppio di allora. Con questi numeri Xi Jinping e i dirigenti del «socialismo con caratteris­tiche cinesi» hanno ancora ampi spazi di manovra per non tradire il patto non scritto con le masse cinesi: il Partito comunista garantisce sviluppo continuo, migliorame­nto delle condizioni di vita, benessere e aspirazion­i per la classe media e in cambio la gente si guarda bene dal contestare la sua legittimit­à a governare in modo autoritari­o. Questo «patto cinese» tutto sommato conviene anche al resto del mondo perché garantisce stabilità.

La guerra commercial­e lanciata da Donald Trump è il tentativo estremo degli Stati

La «frenata»

Il rallentame­nto sul secondo trimestre del 2019 è di 0,2 punti percentual­i

Gli anni record

Il Pil cinese dal 2009 al 2017 è raddoppiat­o da 5.100 a 12.200 miliardi di dollari

Uniti per contenere l’ascesa della Cina, costringen­dola a giocare senza infrangere le regole. L’impatto dei dazi americani su 250 miliardi di dollari di merci cinesi dovrebbe cominciare a danneggiar­e davvero l’export di Pechino nel quarto trimestre di quest’anno. Ma Xi ha pensato a una contromoss­a per presentare la Cina come grande Paese importator­e. Il 5 novembre si apre a Shanghai la prima Expo dell’import: ci saranno 2.800 aziende internazio­nali di 130 Paesi.

Xi promette di aprire ulteriorme­nte il mercato e sostiene che nei prossimi cinque anni la Cina comprerà prodotti, macchinari e tecnologia stranieri per 10 mila miliardi di dollari.

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